«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
AVVENTURA DELL’UOMO
Piero Scanziani
Utopia 2020
Utopia nella sua ancora breve vita sta facendo bene la cosa intelligente da fare per un editore che voglia dirsi di qualità: cerca la qualità laddove è stata dimenticata sapendo bene che il serbatoio di qualità letteraria dimenticata è enorme. Questa è una semplice constatazione, tutti lo sanno, ma pochi vi si avventurano in quella foresta oscura di libri rimossi da decenni con il necessario per non perdersi. Preferiscono, molti, così pare, e di questo mai io mi capaciterò, sfornare nuove traduzioni di 1984 di George Orwell appena liberatosi dal copyright solo nella speranza di far credere a qualche sempliciotto che del famoso Orwell e del famoso 1984 è uscita la seconda puntata, non sempre lo stesso testo da sempre disponibile. Certo, certo… già vedo quelli agitarsi dicendo… Bé no, una ritraduzione è un nuovo testo… è come un nuovo libro… la lingua rinnovata… l’autore-traduttore…quindi quindi quindi… quindi sono tutte scuse per una noiosa trovatina commerciale buona solo a impolverare dei magazzini.
Lascio i poco interessanti ritraduttori e torno ai molto più interessanti e valorosi riscopritori di libri di gran merito coperti dalla polvere del tempo. È questo il caso di Avventura dell’uomo di Piero Scanziani, libro che solo per l’ardire dell’idea che lo muove sale diversi gradini nella scala dell’interesse, poi ne scala vari altri per la realizzazione.
Il primo elemento da considerare è che si pone in quel terreno di confine paludoso di libri che non sono del tutto saggistica né del tutto narrativa, ma mescolano le due miscele. Di nuovo vedo dell’agitazione tra le teste mechate e boccolute… non-fiction novel non-fiction novel… e anche… romanzo-nonficscion romanzo-nonficscion (quelli più timidi con l’inglese)… e vi dico subito di riprendetevi le vostre categorie buone per le etichette sugli scaffali. Qui in Avventura dell’uomo c’è del piglio originale e di quando ancora si credeva che con le forme narrative ci si poteva lavorare come materia plastica che si deforma e riforma, si adatta alle fessure e si gonfia a forza di polmoni. Il primo punto davvero interessante di Avventura dell’uomo è che un libro del genere da tempo ormai non ci prova più nessuno a scriverlo, un po’ per poco coraggio e un po’ per incapacità e un altro po’, probabilmente, perché poi non sanno in quale scaffale metterlo.
Ma qual è (mi preme sottolineare, come ulteriore elemento della barbarie di questa epoca putrida che su “qual è” WordPress mi segnala un errore e propone la grafia “qual’è”) questa avventura dell’uomo, vorrete sapere ora che vi ho maldisposte a sufficienza seminando critiche gratuite.
È vivere la propria vita, ovviamente, cha altro c’è di avventuroso in un uomo? Specifico che qui “uomo” vale anche per “donna”, sta per “umano”, “homo”, “sapiens” a voler essere precisi. Mi dispiace per chi se la prende a cuore per queste cose, ma è così. Non ci avevo pensato, probabilmente oggi a Piero Scanziani non gli farebbero pubblicare il libro con quel titolo perché poi ci sarebbe chi rognerebbe sulle scelte lessicali, forse lo chiamerebbero Avventura del * o Avventura del/della uomo/donna. Faccio del sarcasmo su cose serie, lo so, non è necessario ripetermelo, ma oggi sono invaso da animo malmostoso.
Ora però vorrete anche sapere cosa si intende per “vivere la propria vita” e come questo si declina nel testo di Scanziani (Nota: l’uso del verbo “declinare” statisticamente aumenta del 5% il numero di coloro che trovano lo scrivente noioso). Si declina letteralmente, in questo sta il coraggio dell’opera. Cioè parte dall’inizio, dall’incontro tra «il germe maschile» e «la cellula femminile», perché la nostra storia non inizia con la nascita, ma quando «i nostri genitori si sono abbracciati, Tutte le vite umane cominciano con un abbraccio e un impeto di gioia.» Che modo delicato di porre la questione fondamentale dell’esistenza, ovvero che tutti quanti partiamo da una scopata tra un lui e una lei (tranne qualche eccezione), anche in quei non rari casi per i quali razionalmente e plasticamente l’evento di una scopata sembra essere tra i più improbabili e implausibili. Eppure è così, la realtá è disarmante certe volte e Scanziani ne è perfettamente consapevole. Bisognerebbe provare a uscire per strada e sostituire idealmente a chiunque si incrocia l’immagine di due che copulano, ne viene un’orgia sibaritica di proporzioni mai viste e tra gente della più inverosimile, eppure non sarebbe del tutto falsa come immagine.
Quindi, l’avventura dell’uomo parte da un impeto di gioia, tanto quanto l’ape regina con il fuco che le resiste, copula e muore, i salmoni testardi che risalgono i fiumi per infrattarsi e tante altre belle analogie simili dal mondo animale. Insomma, la vita inizia in un tripudio di biologico amore, che piaccia o no alle sovrastrutture razionali e semantiche. La biologia raccontata con penna elegante e note letterarie, non ci si pensa mai ma è un’arte andata perduta da decenni. Oggi o è tutto ineccepibile divulgazione scientifica (anche non ineccepibile) con il tono secco del neo-illuminista digitale, oppure sono romanticherie e fumisterie tardo-novecentesche che-due-gran-palle immancabilmente improntate al canovaccio della tavolata estiva della borghesia proto-intellettuale romanesca che piace tanto al mediocre cinema italiano.
Da quell’abbraccio iniziale si procede, per passi ben distanziati, analogie, diversioni, ben vestiti e con modi gentili. Il feto scodinzola, il neonato nasce, il lattante succhia, il bambinetto cresce, diventa pre-adolescente, poi adolescente, e via fino alla vegliarda età. Un tour della vita dell’uomo, e anche della donna quando è il caso, mescolando biologia e letteratura, pedagogia e narrativa, sociologia e romanzo. Scanziani è cattolico e lo fa sapere, niente di male, si accetta tutto ormai, però ha il buon gusto di non eccedere e non uscire di strada con noiosità dogmatiche.
“Ah ma che bella storiella idilliaca!” vorrete dire per ribattere alla mia consapevole scontrosità e fare a vostra volta del sarcasmo. Proprio a questo varco vi aspettavo paziente come un Confucio in sedicesimo.
Sbagliato! Scanziani rovescia il tavolo cambiando marcia e diventando cupo. La maturità dell’avventura dell’uomo è cupa perché, quando finisce la legge della biologia che procede per impeti di gioia e penetrazioni cellulari, allora si fa avanti l’ipocrisia dell’uomo e delle sue costruzioni sociali. Il buon cattolico che aveva lasciato filtrare le immagini di gioiosa unione coniugale tra il portatore di germi maschili e la portatrice di cellule femminili, improvvisamente cambia d’abito e diventa, per un po’, un relativista umanista disincantato e, appunto, cupo.
Tristano e Isotta si sono sposati e re Marco aspetta. L’astuto consigliere sussurra: «Il matrimonio è la tomba della coppia». Si guardano negli occhi e si sorridono.
La tomba della coppia non è il matrimonio, è il tempo. La coppia ha vita breve, il matrimonio lunga. L’una è già morta quando l’altro è ben vivo. Ma è una morte di cui i protagonisti neanche si rendono conto.
In realtà prosegue salvando l’unione, immaginaria, tra Tristano e Isotta. Un doppio falso, rispetto alla vera storia dei due amanti. Questo fa parte della bravura di Scanziani. In quanti usano miti e leggende come analogie per descrivere qualcosa? Tanti, noiosamente tanti. Questa vicenda come Ugolino, quest’altra come Creonte, quell’altra come Ipazia (anche “quest’altra” è segnalato come errore dall’idiotica intelligenza del correttore di WordPress). Facile, banalotto, roba da film con i borghesucci romani che mangiano in terrazza, si fanno le corna e pontificano sul senso della vita. Più complicato è riscrivere un mito e proporlo come interpretazione alternativa, ancora più difficile è poi svelare che era un inganno e proporre una terza versione. Così si ragiona tra gente adulta, dico io.
Va avanti. Qui vi lascio. Potete immaginare le tappe di una vita recitate e ricamate da una penna formidabile e da un’immaginazione tracimante come furono quelle di Piero Scanziani.
Cosa ne rimane oggi di Avventura dell’uomo? Valeva la pena di essere spolverato e rimesso in circolazione?
Sì, ne valeva la pena perché un libro così non si trova facilmente in giro, di uno che ha immaginato di scrivere una storia difficilissima da scrivere e l’ha fatto con gran piacere, evidentemente. Scrittore coraggioso, oltre che di talento, Piero Scanziani. Bravi quelli di Utopia nella scelta dell’opera.
PS: alla fine il protagonista muore.
volevo dirle, da ex giornalista di lunghissimo corso, che lei ha scritto un pezzo perfetto. come è perfetta la riscoperta di scanziani, come lo sarebbero quelle di tanti altri autori perduti nel tempo. grazie grazie e bravo. e non lo è sempre…..
Grazie, lei mi fa un gran complimento. Mi fa piacere.