«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ECONOMIA DELL’IMPERDUTO
Anne Carson
Traduzione di Patrizio Ceccagnoli
Utopia 2020
C’è troppo io nella mia scrittura. [..] scrivere comporta slanci in avanti e indietro tra quel paesaggio crepuscolare dove è sparsa la fattualità e una stanza senza finestre ripulita di tutto ciò che io non so. È il ripulire che richiede tempo. È il ripulire a essere un mistero.
Anne Carson, Nota metodologica
Se cerchi un libro inclassificabile, l’hai trovato. È filosofia? È storia? È poesia? Sono riflessioni dell’autrice? È un saggio? È letteratura? Che cos’è questo libro?
Con le domande ci si può facilmente strozzare, questo è bene saperlo, anche solo per evitarsi malumori.
Per questo, qualche volta, il problema non sta nel non trovare una risposta soddisfacente, ma nel porsi domande che in effetti funzionano come nodi scorsoi, più cerchi una risposta e più ti strozzi.
Insistere nel chiedersi a quale categoria editoriale appartiene questo libro è una di queste domande.
Così come chiedersi cosa voglia dire il titolo, Economia dell’imperduto e in che modo rappresenti il contenuto del testo. Lo stesso vale per il titolo originale, Economy of the unlost, unione irritante di due termini: “economia”, che solo a sentirne il suono viene da fare un passo indietro, e una parola inesistente e cacofonica che si incaglia in gola, “unlost”, “imperduto”.
La spiegazione più salutare è che non vuol dire nulla, non rappresenta nulla del testo, è volutamente criptico e non solo criptico, ma criptico al punto da respingere i potenziali lettori casuali, i lettori-impollinatori che volano di libro in libro suggendo un po’ di qua e un po’ di là, i lettori serendipitosi che si illudono della forza della scelta casuale o dell’inciampo nel titolo adatto al tempo e al luogo. Per non parlare naturalmente di altri generi di lettori dei quali né a me né a te interessa parlare.
Perché l’autrice l’abbia fatto non lo sappiamo. Di certo il titolo agisce come uno schermo opaco che nasconde il contenuto, l’autrice stessa, i lettori e tutto quanto si trovi, per scelta o necessità, dietro di esso, separato dal resto, dalla mondanità, dalla quotidianità, dai titoli dei libri, dai libri stessi, dalle normali disquisizioni sui libri, vanesie e vacue.
Questo è il primo elemento da conoscere di questo libro. È fatto per isolare, per creare un senso di isolamento, di solitudine, una cesura emotiva e sensoriale tra quanto c’è dentro e quanto c’è fuori. O entri o stai fuori, ma non puoi stare a metà, sulla soglia, con un occhio dentro e un orecchio fuori. Non c’è una soglia. Se pensi di stare sulla soglia, sei fuori e soltanto ti illudi, per lo sciocco che sei.
Se sei dentro lo sai che sei dentro perché capisci che ti trovi isolato, percepisci l’isolamento, l’assenza di rumori, di vita, di contesto, di altri, pure il tuo altro. Puoi resistere molto o poco, spesso poco, ma se sei dentro lo senti in modo inequivocabile.
Il secondo elemento è che Anne Carson, pur scrivendo un libro che è certamente molto intimo e del tutto personale, non si mostra mai, non appare mai, neppure di sfuggita, non trapela neppura la sua natura umana, per quel che ne sappiamo potrebbe non esistere, la voce che riempie lo spazio potrebbe essere quella di una macchina inanimata, la voce di un’ombra che scivola su un muro sporco di una città anonima. Anne Carson non è dentro, né fuori, né in alcun luogo. Non è, questo è tutto. La voce non ha momenti di debolezza o affanni. Recita un testo dalle quinte, non importa di chi sia o che natura abbia, umana o inumana, animata o inanimata, divina o mortale.
Il terzo elemento è che in Economia dell’imperduto c’è molta poesia e poeti, e riflessioni sulla poesia e sui poeti. Su due poeti in particolare, Simonide e Celan. Loro sono i protagonisti usciti dalla cosmogonia oscura di Anne Carson. Più distanti e diversi non potrebbero essere, eppure è con la massima naturalezza che si alternano, entrano ed escono dalle pagine, inscenano lo spettacolo di poesia e di poetica. È una costruzione delicata, fragile, come ricami di sabbia prodotti dal vento, sono onde che si susseguono nell’acqua bassa e trasportano la lettura in alto, poi in basso, senza strappi, come un pensiero insistente, una fissazione che ha però superato il tempo dello strazio e si è fatta gentile, sicura, matura. La poesia e la poetica di Anne Carson non dà spazio ai sentimenti di facile consumo, all’emotività epidermica, all’espressione metaforica quotidiana. Per questo c’è quello schermo opaco che divide. Facile, epidermico, quotidiano sono termini che acquistano senso fuori da quello schermo, dentro non ne hanno, non appartengono al vocabolario in uso.
Il testo di Economia dell’imperduto è poesia e poetica senza essere un libro di poesia o un saggio di poetica e poeti. È pensiero poetico, riflessione poetica, è spazio svuotato dal quotidiano e dal mondano e poi riempito da ciò che non è andato perso, ciò che è rimasto, che rimane, che persiste, persevera, che si tramanda e viaggia tra le generazioni, da Simonide a Celan a noi, è ciò che si rifugia dietro lo schermo opaco, nell’isolamento, nella solitudine riemerge, nel discorso pronunciato dalla voce inanimata torna a respirare, a unire i pensieri e i pensieri le menti e nell’unione si tramanda, non è andato perso e non si perderà.
Un libro da tenere in mano almeno una volta per decidere se si vuole andare dietro quello schermo opaco, nella solitudine del pensiero.
EPITAFFIO PER FRANÇOIS
Le due porte del mondo
restano aperte:
da te aperte
nella notte bifronte.
Le udiamo sbattere e sbattere
e portiamo l’incerto,
e portiamo il Verde nel tuo SempreOttobre 1953
Paul Celan
Ciao Marco, a proposito di libri inclassificabili e meravigliosi, ho appena finito un libro che ritengo un capolavoro (e se mi sbaglio su tutto, sui capolavori credo di no); si tratta di “Memoria della memoria” di Marija Stepanova. Pubblicato lo scorso anno da Bompiani. Uscito in Russia nel 2017, sta pian pianino arrivando alla giusta notorietà, scopro che è finalista all’International Booker Prize. Non è, per chiarirci, uno di quei libri ibridi (vagamente fuffa) che si pubblicano talvolta da Adelphi, ed è una sorpresa che sia finalista a un premio importante, è uno di quei libri che arriva in finale perché è più grande delle finali, poiché è un libro spropositato, in cui si dicono tutte le cose che si sanno col rischio anche di annoiare, scritto da una poetessa e saggista, spazia tra documenti, storie di famiglia, incursioni sull’opera di Charlotte Salomon, passaggi di Anne Carson, Osip Mandel’stam, Sebald, Pasternak, Cvetaeva, ritratti di Rembrandt, scatole di Joseph Cornell, lettere, aneddoti.
Non si perde mai e riesce a fare (per intermittenze) quello che il titolo, che sembra pretenzioso, esprime. In altre parole non è uno dei tanti celebrati libri sulla memoria, è un libro su come la memoria agisce nella testa dell’autrice, che confessa fin da subito che non ha intenzione di approfondire le notizie sui suoi antenati, negli anni della guerra, della Shoah, non vuole scoprire niente di segreto, ma cercare di capire cosa si perde, cosa si sogna, cosa resta, cosa si trasforma nella sua testa; nel farlo non si cura di cercarlo solo attraverso documenti del passato, ci sono lettere accluse ma senza spiegazioni, digressioni illuminanti sui libri letti, le case, gli oggetti, documentari, foto, qualsiasi cosa possa rendersi utile.
Lo fa con una prosa elegante, che si deve alla bravissima traduttrice Emanuela Bonacorsi, ma che da quel che ho potuto reperire dalla rete è in primo luogo sua, di Marija Stepanova, poiché anche tradotta in altre lingue stupisce.
Da noi, che te lo dico a fare, si sono scritte recensioni lodevoli ma niente di serio e sentito, infatti il libro al momento è passato perfettamente inosservato.
Un caro saluto e buone letture.
(p.s. nel libro di Stepanova si cita anche Economia dell’imperduto, tra i molti altri)
Grazie Domenico. Non lo conosco per nulla, alla prima occasione lo prendo.