2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

L’altro mondo – Fabio Deotto

L’ALTRO MONDO – La vita in un pianeta che cambia
Fabio Deotto
Bompiani 2021

Scrivere del mondo che cambia sotto la spinta delle azioni dell’uomo è facilissimo. Tutti hanno una teoria che aspetta solo di essere esposta, la Teoria del Proprio Orticello. Scriverne bene è difficilissimo, molto più di quello che si tende a credere. È difficile tanto quanto parlare di religione, o di miti nella scienza e di scienza al tempo dei miti, di cosa sia la cultura e la coscienza. 

Bisogna partire da questo, altrimenti niente si spiega: comunque la si giri, è un problema difficilissimo anche solo da presentare senza precipitare nella malefica Teoria del Proprio Orticello. Diciamo pure che è impossibile presentare un discorso sul cambiamento climatico senza ricevere critiche motivate da più parti (parti ragionevoli, intendo, quelle da forsennati qui non interessano), a partire dalla stessa definizione del problema, cambiamento climatico, emergenza climatica, Antropocene, come deve essere chiamato quello di cui si parla?
Quindi, il fatto che io mi appresti a criticare il libro di Deotto non dovrebbe sorprendere, anzi, chi non lo critica è strano, anomalo direi, ha qualcosa che non va. Mi verrebbe da chiedere Perché fai così? e anche Cos’hai che non va? Non lo sai che la cosa normale per questo argomento è criticare? 
Se non critichi allora non ci hai pensato e non hai niente da dire, e se non hai niente da dire, il silenzio è d’oro.

Aggiungiamo una nota di colore nostrano. Noi italiani siamo un popolo di santi, poeti, naviganti e Casamonica. Anzi, forse più Casamonica che gli altri, visto che almeno da un pezzo di santi, poeti e naviganti non ne sono rimasti più molti tra di noi. Di Casamonica invece è pieno, io arrivo pure a dire che c’è un filo rosso (l’immagine del filo rosso mi sono sempre chiesto se sia metaforica della linea di sangue) che per essere più chiari io definirei un filo color Casamonica che lega tra loro visceralmente il suddetto, ben noto, cialtronesco clan con un numero insospettabilmente alto di insospettabili e rispettabili cittadini italiani tra cui un gruppo nutrito di accademici, intellettuali, giornalisti, artisti, i soliti politici, tutta gente con qualche grammo di visibilità pubblica e da alcuni anni a questa parte, anche una truppa nutritissima di casalinghe di Voghera e geometri Filini che galoppano sfrenati nelle praterie dei social network. Tutta questa folla brancaleonesca che più eterogenea non si potrebbe condivide in realtà un sentire profondo, una emozione ancestrale, un tratto psicosomatico inconfondibile per il quale anche il povero maltrattato Lombroso meriterebbe una completa riabilitazione: l’ostentazione smodata di sé che allo stesso modo si rivela nell’esibizione di cessi placcati d’oro e opinioni categoriche su problemi dei quali non si sa niente, cialtronesche esibizioni di spavalderia di volta in volta giustificate dal sopruso muscolare o della propria ignorante presunzione. Ostentare un’autoproclamata superiorità con il gusto sguaiato del cesso placcato d’oro è il filo color Casamonica che raduna questa truppa imbelle degna di una apposita melma dantesca.

Cosa ha a che fare con Deotto e il suo libro questa tirata cacofonica? Oltre che per fare caciara, mi serve per fargli un complimento. A differenza di non pochi autori italiani (ovviamente non solo italiani, ma in questo caso l’endemica piaga del provincialismo italiano ha effetti tragicomici) che quando si cimentano con il saggio divulgativo o devono parlare di scienza senza avere di fronte la comoda claque di sodali finiscono per esibire il triste filo color Casamonica che ne strangola le capacità analitiche e intellettuali, Deotto è di un’altro livello. Si potrebbe dire che è di livello anglosassone, intendendo con questo la solida tradizione anglosassone di divulgazione scientifica di qualità. 

Quindi, se sei in cerca di un commento breve, prendi questo: L’altro mondo è senz’altro nella fascia alta rispetto alla qualità media, bassina, della saggistica divulgativa pubblicata in Italia. Come qualità posso paragonarlo a Il tempo e l’acqua di Magnasson, libri di autori preparati e seri che cercano di fare del loro meglio per offrire un resoconto onesto e di piacevole lettura di una situazione tragica e tremendamente complicata.    

Puoi fermarti qui. Anzi, ti consiglio di fermarti qui.
Se prosegui, ci sono nubi scure che si addensano e potrebbe non farti piacere quello che ho da dire perché potrebbe venirti il dubbio che con la scusa di parlare del libro di Deotto io stia in realtà parlando di te.

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NUBI NERE MINACCIOSE

Sai cosa sono i bias cognitivi? Se non lo sai non leggere il libro di Deotto e non proseguire qui fino a che non hai chiarito di cosa si tratta. Ne parlano ovunque.

Deotto lo sa cosa sono e sembra esserne entusiasta. Li cita a profusione, a raffica, ne parla come l’innamorato parla delle tette della sua innamorata. Ne parla con tale apparente convinzione che mi ha rafforzato nella convinzione che ormai sono stati scavati tutti i bias cognitivi possibili tranne quello più importante: il bias cognitivo di chi cita a profusione i bias cognitivi come chiave interpretativa di situazioni difficilissime da interpretare. Un esperto bias cognitivologo potrebbe ribattere che si tratta banalmente del più banale di tutti, il vecchio caro semplice bias di conferma, ma io che non sono per questo minimalismo esasperato preferisco pensare che il bias di tutti i bias cognitivi, il grande burattinaio dei bias, il metabias, l’Ubu-bias, il bias patafisico debba ancora essere individuato in tutto il suo splendore e magnificenza, ma da tempo faccia capolino di qua e di là, in una conferenza di dotti  scienziati cognitivi, in articoli peer revisionati, e in libri di buona qualità, tra cui questo di Deotto. Sta arrivando il tempo del Grande Ubu Bias Cognitivo Patafisico, lo so, lo sento, lo invoco1.

La questione a volerla semplificare è questa: i bias cognitivi non sono spiegazioni, non spiegano nulla, ma semplicemente giocano da specchietti che riflettono un frammento di immagine distorta, un lampo di realtà gelatinosa. I bias cognitivi, nella loro granitica semplicità categorica sono fatti di materia liquida, piccole pozze nelle quali il Narciso intellettuale si specchia e non riconosce la propria immagine. Con questo non voglio insinuare che Deotto sia un narciso, non dà questa impressione, però si fa prendere la mano, o meglio sembra farsi prendere per mano dai bias cognitivi, non è lui a farne uso ma loro a portarlo in giro, ci si affeziona, si sente a proprio agio in loro compagnia e loro, fetenti come zanzare fameliche, lo trafiggono alle spalle.    

Togliete i bias cognitivi e tutto quanto ragiona Deotto nel libro si sgonfia, non rimane altro a sostenerne la logica interpretativa. Questo, a mio modo di vedere, è male perché i bias cognitivi, se anche li si vuole usare, non possono mai essere la logica interpretativa di un problema. Prendete il bias di conferma, dice che uno crede di più a quanto conferma le proprie convinzioni pregresse che non a quanto le confute. Bene, e questo cosa spiega? Cosa permette di interpretare? Nulla, assolutamente nulla, è praticamente una tautologia. Il problema è quali convinzioni ha, perché le ha, come e quando se le è formate, come e quando le rafforza o vanno scemando, quando cambiano e perché, non che le convinzioni siano tali. Dire che le ha perché il bias di conferma le conferma è, come si dice dalle mie parti, una spiegazione del piffero, o come disse Zlatan, io so’ io e voi nun siete n’cazzo. Lo stesso vale per tutti i bias cognitivi, non sono strumenti descrittivi, ma solo assertivi. Sono ipersemplificazioni di una realtà complessa utili solo per esperimenti logici in contesti ipercontrollati, altrimenti sono slogan, motti da apericena, scorciatoie logiche che adempiono alla funzione di autoconvincere chi li usa di aver trovato una chiave interpretativa molto più di quanto facciano per sostenere una logica argomentativa. Ora qualcuno griderà Eeeeeh ma ci hanno vinto un premio Nobel, TversKanemaaaaaa… eccallà è arrivato quello che ha confuso dei semplici esperimenti logici che mille milioni di dubbi fanno venire sulla loro validità per estrapolare una regola generale, con il contributo pluridecennale di scienziati geniali ma, in quanto scienziati, limitati al loro tempo e allo stato delle teorie nel momento in cui sono vissuti. La scienza è indissolubilmente legata alla storia, e forse è proprio per questo motivo, l’inettitudine degli uomini con la storia, a renderli anche inetti a comprendere la scienza. La scienza come sottoprodotto della storia mi pare un’ipotesi da valutare, di sicuro già dibattuta solo che io non lo so.

I bias cognitivi sono come le auto gialle, una volta che ti fissi in testa l’immagine di un’auto gialla poi inizi a vedere auto gialle dappertutto mentre prima sembrava che non ce ne fossero che pochissime. Mi veniva anche un esempio con le tette, ma poi mi diresti che io ci ho il bias cognitivo delle tette, il che a dire il vero… no dai, lasciamo stare.
Esistono molti esempi simili. Uno, molto noto, riguarda gli psicologi evoluzionisti, in breve quelli dell’uomo nella savana che doveva sfuggire alle fiere, i quali spesso si fanno prendere la mano, o prendere per mano, e vedono uomini nella savana come spiegazione a qualunque comportamento degli uomini contemporanei. Quest’anno va di moda il rosso e subito c’è il comportamento ancestrale degli ominidi di decine di migliaia di anni fa che vedevano il rosso e riconoscevano carne da mangiare, la gente ha paura delle punture e salta subito fuori lo psicologo evoluzionista con l’uomo preistorico inseguito da sciami di ubercalabroni paleolitici e così via per qualunque cosa. Per questo motivo gli psicologi evoluzionisti si sono giocati una fetta notevole di credibilità scientifica (in generale gli psicologi si sono giocati una grossa fetta di credibilità scientifica in anni recenti, ma questa non è la sede per parlarne). Altro caso, i genetisti, o per meglio dire i genetisti poco seri e il gene che spiega tutto, con la smania di ricondurre comportamenti complessi, frutto di gomitoli intricatissimi di motivazioni genetiche e culturali, biologiche e ambientali, che se ne escono con affermazioni come “il gene dell’intelligenza”, “il gene che fa diventare gay”, o “il gene dei neri che vincono i 100 metri alle Olimpiadi”, per la gioia dei titolisti delle redazioni dei giornali. Da lì ad ammettere che l’eugenetica non è mai stata veramente ripudiata il passo è brevissimo.   

L’insistenza di Deotto con i bias cognitivi è un maelstrom che risucchia gran parte della complessità del reale, riducendo a uno scheletro la logica argomentativa. Bisogna aspettare fino pagina 276 (su 322) per incontrare il primo cedimento, la prima ammissione che il ragionamento tutto fondato sui bias cognitivi non sta in piedi.

Non è però tutta colpa del cervello che l’evoluzione ci ha dato in eredità: c’è anche una distorsione culturale, che abbiamo creato da soli.

Deo gratias! La cultura! Non è solo faccenda di bias cognitivi e uomini nella savana il problema della vita nell’Antropocene o come diavolo volete chiamarlo.

Subito dopo però ecco riproporre lo stesso bias solo trasfigurato in altra forma. 

Abbiamo visto come la nostra percezione della realtà sia narrativa, e abbiamo prove di come le storie plasmino il nostro modo di pensare e di comportarsi. Decostruire le distorsioni cognitive che ci ancorano a un mondo già finito è un passo necessario, ma non sufficiente; c’è bisogno di smontare le narrazioni a cui ci appoggiamo per gestire la società in cui viviamo.

Esiste il bias del narratore di  professione che vede tutto in forma di narrazione? Come il bias dello psicologo evoluzionista che vede tutto in forma di uomini nella savana? Il bias del genetista poco serio che vede geni che spiegano tutto? E così via per chiunque in qualunque forma e modo, a tutti il proprio bias cognitivo, a tutti secondo le proprie necessità, da chiunque secondo le proprie capacità, bias cognitivi per tutti. Gesù c’è ed è un bias cognitivo. Amen, distorcetevi in pace.

Siamo tutti figli di queste forme distorsive, io, te, tutti, Deotto, gli intervistati da Deotto, i giornalisti del telegiornale, Calasso e gl sciocchi dei social network, tutti quanti, tutti immersi nel pulviscolo delle nostre narrazioni, savane, geni geniali, convinzioni e relazioni.

Quindi no, non abbiamo visto di che materia sia fatta la nostra percezione della realtà, non abbiamo visto come sia la vita nel mondo che cambia, non sappiamo cosa sia l’Antropocene, non siamo in grado di prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici, non ci aiuta sapere cosa succede a Miami Beach, in Louisiana, in un villaggio artico russo o in una cittadina mineraria finlandese, la subsidenza delle Maldive e di Venezia non spiegano la realtà in cui viviamo e come la stiamo determinando, le moderne teorie sul restauro e sulla tutela sperimentale danno colore a un capitolo del libro ma contribuiscono a spiegare il problema in maniera non superiore agli altri miliardi di granelli di realtà che formano il pulviscolo nel quale siamo immersi. Ricaviamo dati e li interpretiamo, costruiamo narrazioni per darne senso poi smontiamo i dati e ne facciamo una nuova interpretazione, decostruiamo la narrazione per lasciare spazio a una nuova narrazione, entra la metanarrazione dei bias cognitivi con i metadati su dati reinterpretati, dopodiché decostruiremo la metanarrazione basata sui metadati e sui bias per dar luogo a una nuova popolazione campionaria dalla quale raccoglieremo altri dati per una nuova interpretazione e narrazione. È questo che ci aspetta, nessuno può essere lo storico della propria vita, possiamo solo scivolare da una interpretazione e narrazione e a una nuova interpretazione e narrazione e tutto questo è ciò che chiamiamo scienza e conoscenza. Non abbiamo vie d’uscita da questa ruota da criceto.

Perché Deotto non ha citato mai il fallimento catastrofico delle politiche internazionali sul clima? Perché non cita mai il fatto che il cambiamento climatico sia un business globale che si rovescia su se stesso, un verme che si contorce?Perché un terzo del libro non è stato dedicato al bisogno di smontare le politiche sovranazionali, la politica dell’industria, della finanza come primi responsabili di quanto sta accadendo da decenni?

Perché Deotto non ha intervistato gestori di hedge funds, broker finanziari, banchieri, gestori di fondi pensione? Industriali dell’acciaio, del settore energetico? O anche imprenditori di industrie tecnologiche che da decenni sono oggetto di interviste genuflesse nelle quali diffondono il loro mantra tecnocratico interessato che entra in circolo nel vociare dei media, viene raccolto dai politici, rimbalzato e amplificato, impastato in narrazioni, poi ritorna agli stessi imprenditori e il giro continua. 

Questi molto più di un brillante professore di architettura o di una valorosa volontaria che assiste i migranti climatici sono quelli che avrebbero delle chiavi interpretative. Poi forse rimane un piccolo spazio anche per i bias cognitivi, ma guardandosi bene dal pericolo di colpevolizzare le vittime, di polverizzare le responsabilità, tutti responsabili nessuno responsabile, individualizzare i problemi sociali, localizzare i problemi globali, frammentare, parcellizzare, sgretolare e alla fine, di nuovo, ancora, si solleva il vortice pulviscolare che ci opprime e ricopre i libri che cercano una strada semplice per parlarne.   

Questo è il problema al momento insolubile nel voler parlare seriamente di come sia diventato un problema serissimo capire che conseguenze avrà come abbiamo deciso di vivere il  mondo negli ultimi pochi decenni. Il resto, i bias cognitivi e le narrazioni da smontare sono solo artifici letterari per dare un simulacro di ordine al caos, si accende la luce di un lampione e si dice che è la Luna, questo è lo stato in cui siamo in quanto a capacitá di parlare della vita che sarà. Non è una colpa che Deotto non sia riuscito a trovare una soluzione.

 

  1. In realtà il mio Ubu-Bias Cognitivo Patafisico preferito è l’effetto Dunning-Kruger di chi cita spesso e volentieri l’effetto Dunning-Kruger perché la parabola patafisica che ha mostrato è illuminante e delirante. Se non conosci l’effetto Dunning-Kruger sei in buona compagnia visto che quasi tutti quelli che lo citano non lo conoscono con precisione, non avendo mai letto cosa scrissero David Dunning e Justin Kruger, ma ne conoscono solo la versione stilizzata dal passaparola che più o meno fa così: tanto più sei ignorante, tanto più non capisci di esserlo e valuti le tue competenze a un livello molto più alto di quello che in effetti sono.
    La versione reale di Dunning e Kruger non è così categorica e parla di una tendenza generale che si potrebbe verificare dovuta a un errore di valutazione delle proprie capacità, completata da un effetto speculare per chi invece è molto competente su un tema che può soffrire di un errore di valutazione delle capacità altrui. Da qui il disallineamento tra valutazione e risultati. Tendenza generale che in certe situazioni può verificarsi basata sul disallineamento di due valutazioni differenti. Le parole contano molto nelle pubblicazioni scientifiche, è un linguaggio codificato che necessita capacità di interpretazione.
    Cosa è diventato nella versione Ubu-Bias Cognitivo Patafisico? È diventato la caricatura di se stesso, ovviamente, un cabaret di periferia in ostaggio di persone che pur essendo competenti soffrono dell’errore inverso rispetto al bias di Dunning-Kruger, ovvero invece di sbagliare sovrastimando le capacità altrui, sbagliano sottostimando le capacità altrui, quindi questi non rientrano nella categorizzazione di Dunning-Kruger e per questo giustificano un caso nuovo, anzi un metacaso, un Ubu-Bias: questi sono i competenti su un tema che allo stesso tempo denigrano i non competenti usando l’effetto Dunning-Kruger come un bastone per tirare mazzate, per cui a tutti gli effetti, in un mondo dunningkrugeriano, questi sono esseri chimerici che combinano l’essenza dei due estremi, competenti con i competenti e ignoranti con gli ignoranti, ma anche ignoranti tra i competenti e competenti tra gli ignoranti, sono, in altre parole, i vecchi tromboni di un tempo rivestiti secondo la moda dei social network, i palloni gonfiati che dimostrano la loro idiotica boria brandendo il bias cognitivo senza capire che così facendo dimostrano che c’è pure di peggio rispetto a quanto avevano intuito David Dunning e Justin Kruger. Così va la scienza e la vita.

 

Un commento su “L’altro mondo – Fabio Deotto

  1. Lucio Campiani
    29 luglio 2021

    Grazie, altro libro che non leggerò. ;-)

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Questa voce è stata pubblicata il 28 luglio 2021 da in Autori, Bompiani, Deotto, Fabio, Editori con tag , , , .

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