«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ATENA NERA – Le radici afroasiatiche della civiltà classica
Martin Bernal
Traduzione di Luca Fontana
Il Saggiatore 2011
Se l’Europa cristiana ha le radici nella Grecia classica, verità incontrovertibile, dove ha le radici la Grecia classica? Questa è la domanda che fa da filo conduttore ad Atena nera.
La prima cosa da sapere è che sono mille e più anni che questa domanda viene posta e una risposta certa ancora non c’è. Questo dovrebbe consigliare un atteggiamento di sincera umiltà a chiunque si appresti alla lettura. Dovrebbe anche consigliare di non avventurarsi in tentativi di risposta o in prese di posizione troppo convinte, a meno di non essere tra i pochissimi al mondo ad avere le conoscenze storiche, linguistiche e archeologiche per poterlo fare con cognizione di causa.
Oppure, a meno di non essere lettori in cerca di facile autocompiacimento.
Tutti, in certa misura, siamo lettori se non proprio in cerca almeno condiscendenti verso i facili autocompiacimenti e questo andrebbe tenuto a mente.
L’analisi storica di Bernal, lunga, minuziosa, dichiaratamente di parte, è una lettura che pone delle difficoltà, a tratti faticosa, ma impregnata di fascino antico, riecheggia drammi antichi e moderni, splendore e miseria della umana ricerca di spiegazioni, lo sforzo di guardare a tempi lontanissimi dei quali solo incerti barlumi rimangono e di ascoltare lingue arcaiche perdute da millenni. Generazioni di storici, linguisti e archeologi si susseguono nella storia di Atena nera in un movimento ondulatorio fatto di conoscenza incerta, di teorie che si alternano sul podio della preminenza, di ipotesi che nascono, muoiono, rinascono e rimuoiono più e più volte.
La Grecia classica, culla d’Europa e dell’Occidente tutto, nasce grazie alla civiltà egizia o alle popolazioni semitiche o a entrambe? Oppure no, egiziani e semiti non sono le radici della Grecia, invece lo è il crogiuolo tra popolazioni indigene e gli influssi indoeuropei, ariani forse, o caucasici, se non addirittura baltici?
Rispondere alla domanda sulle radici della Grecia può a prima vista sembrare una interessante questione storica e archeologica, ma non molto di più. Quanto vasti furono gli insediamenti egizi nel Peloponneso? Vasti abbastanza da dare vita a una nuova civiltà? Quanto profondi furono i legami culturali con i Fenici, popolazione semitica? Di certo l’alfabeto venne appreso dai Fenici, ma questo basta per fare della civiltà fenicia la culla della Grecia?
Va ricordato che la storia è sempre politica. Se non lo sembra il motivo è che di storia di fatti irrilevanti si tratta oppure si sta commettendo un grosso errore di valutazione.
Che la domanda sulle radici della Grecia porti con sé enormi implicazioni politiche è di tutta evidenza. A partire dalle radici del Cristianesimo, si è disposti ad accettare che siano di origine semitica o africana? Ci si è scannati per secoli in nome della natura divina, o quanto meno superiore alle altre confessioni, delle radici cristiane. Si sono ridotti a dettagli di poco conto e banali imprestiti culturali le evidenti somiglianze tra elementi cristiani e riti arcaici orientali, questo senza grandi problemi politici e teologici, ma questione diversa è ammettere una linea di discendenza diretta tra civiltà e popoli, soprattutto se africani, e quindi neri, o semitici.
A seguire, nello svolgersi dei secoli, alle radici del Cristianesimo si sono aggiunte le radici del Sacro Romano Impero d’Occidente, diventato poi l’Europa con i suoi orgogli feudali, imperiali, poi nazionali, e le eterne contrapposizioni religiose, culturali e politiche che però non hanno impedito il consolidarsi dell’idea del predominio che deriva dalla asserita superiorità razziale, culturale, divina perfino dell’Occidente (il Nord dell’Occidente, in particolare) rispetto al resto del mondo.
Siamo mai stati disposti ad ammettere veramente che la nostra civiltà nella sua maggiore gloria dell’antichità, culla delle arti, della filosofia, della scienza, di tutto il nostro meraviglioso e ineguagliabile sapere nasce grazie a un antico popolo africano o da tribù di ebrei della costa orientale del Mediterraneo?
No, dal punto di vista politico è sempre stato inammissibile, indipendentemente dal fatto che i reperti e le lingue possano sostenere o meno una risposta differente.
Da questo punto di vista, Atena nera in quanto testo con il quale Martin Bernal vuole sostenere quella che chiama teoria classica (cioè favorevole a ritenere vera l’origine egiziana e semitica della civiltà greca) rispetto alla teoria ariana (favorevole invece a ritenere vera un’origine indoeuropea ed ellenica della civiltà greca) non è molto rilevante, a meno di non essere degli specialisti. Che si trovi convincente l’esposizione e le considerazioni di Bernal fa parte della valenza politica dell’analisi storica, dice di più circa l’inclinazione politica del singolo lettore che della solidità delle argomentazioni.
Quello che invece rende più affascinante questo testo sono altri due aspetti. Il primo è il già citato movimento ondulatorio delle interpretazioni che si sono susseguite nei secoli sulla scia del clima culturale e politico del tempo. La storia è politica, per questo c’è stata una interpretazione predominante che rifletteva i conflitti tra cattolici e protestanti, una che rifletteva il sentire del Rinascimento, una per l’Illuminismo e una per il Romanticismo, una per l’epoca della scienza moderna, una per la lunga storia otto-novecentesca del consolidamento del razzismo nella cultura europea e un’altra per la storia millenaria dell’antisemitismo. A mio parere, più che cercare la scintilla che fa propendere per una o l’altra interpretazione, è quindi molto più interessante leggere Atena nera per seguire lo svolgersi della verità storica abbracciata allo spirito dei tempi nel corso dei secoli. Lo spettacolo che si apre di fronte al lettore è al tempo stesso magnifico per la profondità degli intrecci tra storia, cultura, civiltà e politica e terribile per la ferocia che si sprigiona dalla banalità dell’espressione “l’opinione preponderante tra gli storici”.
C’è un secondo aspetto dal quale emana un grande fascino e una luce per molti versi livida ed è rappresentato dalle scelte sorprendenti che sembrano talvolta fare alcuni studiosi di fama. Non è raro incontrare il caso di uno studioso (un accademico tipicamente) di riconosciuti meriti e vaste conoscenze che sceglie di porsi fuori dal mainstream per sostenere una tesi minoritaria, fino ad accettare di essere per questo ritenuto dai suoi pari come improvvisamente divenuto un eccentrico dalle idee pittoresche. Sono diversi i casi citati in Atena nera e uno si è rivelato per me particolarmente interessante perché conosco l’opera che viene citata e che na ha determinato l’allontanamento dalla comunità di accademici, quello di Giorgio de Santillana e del suo Il mulino di Amleto, scritto insieme a Hertha von Dechend, testo meraviglioso per le suggestioni che porta con sé e per l’eco di tempi remotissimi che riesce a evocare, ma certo testo grottescamente esoterico se visto con l’occhio del mondo accademico del quale Santillana era membro affermato.
Difficile e pericoloso tentare una spiegazione che non risulti palesemente pacchiana dei motivi che inducono una rottura di tali proporzioni con la consuetudine.
Mi è capitato di leggere recentemente un altro caso simile e di nuovo mi sono fermato a pensare alle rotture delle consuetudini e alla politica della storia e delle scienze. Avi Loeb è uno scienziato di fama e potere, professore a Harvard e fino a poco tempo fa direttore del Board on Physics and Astronomy dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti. Un uomo dell’establishment accademico più elevato quindi. È comparso spesso tra le notizie degli ultimi mesi per una presa di posizione curiosa circa uno strano oggetto che gli astronomi hanno individuato mentre attraversava il sistema solare. L’hanno chiamato Oumuamua questo che dovrebbe essere un comune asteroide che però ha percorso una traiettoria molto insolita e difficile da spiegare (https://blogs.scientificamerican.com/observations/6-strange-facts-about-the-interstellar-visitor-oumuamua/).
Ebbene, Loeb ne ha sostenuto con decisione la natura di artefatto di intelligenza aliena in vari interventi pubblici (https://www.scientificamerican.com/article/astronomer-avi-loeb-says-aliens-have-visited-and-hes-not-kidding1/), recentemente ha pubblicato anche un libro.
Ci sono delle affinità con Martin Bernal e Atena nera perché anche in questo caso abbiamo una domanda a cui non si può nemmeno tentare di dare risposta a meno di non essere tra i pochissimi con le informazioni e le conoscenze necessarie, la domanda scava in profondità ancestrali ed è esplicitamente avvolta nel mantello della politica (anche la scienza è politica, e se non lo sembra allora o è scienza di nessun interesse oppure si sta commettendo un grosso errore di valutazione). Ancora, uno studioso di fama e lunga esperienza che assume una posizione che lo colloca fuori dal mainstream scientifico e nella zona degli eccentrici che sostengono ipotesi improbabili. Infine abbiamo una narrazione che in realtà rende di scarsa importanza sapere se l’ipotesi alternativa ha ragione di essere presa in considerazione (ugualmente è di scarsa importanza sapere se Loeb lo ha fatto per fama popolare, soldi, interessi, rivalsa o qualunque altra motivazione personale), ma mette in luce il movimento ondulatorio delle interpretazioni (storiche in Bernal, scientifiche per Loeb) che sempre avanzano avvinghiate allo spirito dei tempi e rispetto al loro tempo ne rappresentano quasi sempre l’interpretazione più conservativa dello statu quo. Le rivoluzioni non si fanno con le interpretazioni storiche prevalenti o con le teorie scientifiche più largamente accettate, questo è certo.
È una grande mistificazione, anche questa ammantata dei colori della politica, sostenere la natura binaria delle opinioni e delle interpretazioni. Non esiste solo la verità storica o il falso storico, l’opinione scientificamente corretta o quella antiscientifica, la fede religiosa o l’ateismo. Ugualmente ma, io aggiungo, in modo furfantesco, è una mistificazione politica sostenere la virtù della posizione mediana, l’equilibrio del centro, la ragione equidivisa. Si tratta di mercanteggiamento intellettuale, miserabile supinazione, il collasso di due estremi in un unico punto di minor attrito e maggiore miseria morale. La virtù del centro è di gran lunga peggiore dei vizi degli estremi per mio conto, e di certo non ne rappresenta una degna alternativa, anzi è una ulteriore mistificazione che si aggiunge alla mistificazione della natura binaria.
L’alternativa alla mistificazione non so quale sia, si potrebbe dire che è di accettare come interpretazione migliore ciò che ci è dato di osservare ma anche questa è forse una mistificazione.
Campo arduo.
Ho letto qualcosa sulle civiltà paleomediterranee e sulle società matrilineari. Insufficiente girare intorno a Dee Madri, nordiche, afroasiatiche, sudamericane.
Il sincretismo delle origini è denso, un “buco nero”, in cui indagare e distinguere è molto più complicato di quanto sembri, specie se ci si ferma a filoni antropologici fortunati o di tendenza, subordinati ad un uso politico delle scienze ( dalla storica alla medica, giusto per dire.) Il che obbliga, stante il rischio di mistificazione di ogni posizione, anche della più onestà quale la derivante dalla propria osservazione, ad una umiltà metodica.