«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
CUORI TRAFITTI, MADONNE E SIRENE – Significati e tradizione del tatuaggio in Italia
Fabio Brivio
Gribaudo 2021
Procedo a elencare i pregi di questo libro in ordine non premeditato ma secondo una certa logica:
Il libro non verrà candidato al Premio Strega.
Se non lo leggete, ciò non fa di voi persone spregevoli che si sollazzano mentre il mondo va in malora.
Se invece lo leggete, non diventate per questo dei drogati, mascalzoni o donne di malaffare.
Non diventate nemmeno persone migliori, o almeno io vi auguro di no.
Il libro non vuole insegnarvi niente.
Il libro non contiene lamentazioni, lagne o altre noiosità del genere.
Il libro parla di tatuaggi ma non vuole convincervi a tatuarvi.
Lo possono leggere anche i non tatuati.
Se volete farvi un tatuaggio ma non sapete quale farvi, questo libro non vi dà alcun suggerimento.
Il punto precedente ha la notevole eccezione nella scritta NEI BISOGNI SE NON NELL’AMORE PREFERISCIMI PEPPINA. Se vi tatuate questa frase meritate tutta la stima possibile e secondo me dovrebbero come minimo regalarvi una copia gratis.
La storia del tatuaggio in Italia non la conoscete, inutile che cerchiate il modo di fingere il contrario, qui non siamo sui social.
Il libro contiene illustrazioni di gran pregio e interesse, di storia, antichità e natura varia.
Ci sono peni e vulve, santi e madonne, cuori e pugnali, camorristi e soldati, anarchici e monarchici, sirene bipenni e aquile bicipiti, memento mori e satanassi, W GARIBALDI e MORTE ALLE SPIE.
È un libro dai molti sorrisi.
Un libro in viaggio.
Non ho scritto un libro di viaggi. O un libro per chi viaggia.
Il libro viaggia.
Infine, un posto tutto per sé, la menzione d’onore, questo libro rende il giusto merito a Cesare Lombroso e a quel piccolo luogo ritirato, meraviglioso e misconosciuto che è il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso dell’Università di Torino, a più riprese preso di mira e maltrattato da borbonici perdigiorno viziati e ignoranti nemici dell’anarchia e dei liberi pensatori.
Un libro che non ha timore di ciò che vuole dire e lo dice con modi educati e leggeri.
Un libro rusticamente sincero nelle forme e nei contenuti.
Procedo ora a elencare le virtù dell’autore, anche questa volta in ordine non premeditato ma con una certa logica della quale non mi sento in dovere di dare spiegazioni:
L’autore è amico mio e nu bravo guaglione e beve molte birre.
L’autore non si esibirà in piagnistei mediatici per l’esclusione dal Premio Strega.
L’autore non pontifica, straparla, ammaestra, non si pavoneggia, non somministra prediche e tanto meno dei fetenti insegnamenti di vita o altre noiosità del genere.
Indulge talvolta nella ripetizione di concetti o informazioni, ma credo sia una tecnica di autoconforto che certamente ha un nome ma io non lo conosco.
L’autore, dio lo mantenga, non è una star dei social. Nemmeno una vorrei-ma-non-lo-sono-star-dei-social.
L’autore non ha un blog di libri, dio li perdoni tutti per la loro vacua vanità.
È un gran camminatore.
L’autore scrive di storia e prima di scrivere si è documentato con cura. Non scopiazza di qua e di là come fanno certuni.
L’autore sa come si scrive una citazione corretta e come si compone una bibliografia, virtù che sta diventando sempre più rara.
L’autore scrive una storia di usi e costumi popolari, di gente che andava scalza e si arrangiava per vivere, una storia come sempre molto più ricca di quanto pretende di sapere il borghese.
Ma soprattutto l’autore sottolinea la cosa davvero importante della storia del tatuaggio in Italia e che dà valore a questo libro: il tatuaggio era narrazione.
E aggiungo io, era la narrativa degli analfabeti, degli umili, degli ultimi, era la voce di chi non aveva voce, l’identità dei morti in mare o di lama, di chi credeva, amava, odiava o sognava e non aveva che la propria pelle per annunciarlo, era il narrare che scorreva nei porti, ai mercati, nelle bettole, alle sagre di paese, nelle caserme e nei bordelli. È il narrare dal quale nascono le grandi storie, prima o poi.
Forse essere un camminatore ha aiutato l’autore. Come ogni forma di racconto che non usa parole, frasi, discorsi. Ogni forma di racconto che usa solo gesti primordiali come attraversare luoghi un passo dopo l’altro, una danza popolare, un ritmo di tamburi, dell’argilla a cui dare una forma, delle pitture rupestri oppure un tatuaggio che oggi noi, con esausta spavalderia, giudicheremmo grossolano e antiestetico.
Sono i racconti muti, la narrativa dei gesti, il vociare inesauribile del popolo.
Il popolo.
Pochi termini oggi suonano così desueti al popolo come il termine popolo.
Bravo Brivio.
Quann’ero piccirillo e nu criatro ‘e miez’a via, questo perchè la casa nostra era di una sola stanza e l’aria dentro subbeto ferneva pecchè le famiglie di Napoli e d’o Sud erano tutte belle famiglie numerose. Nei vicoli e nei vasci ma anche in alcune case dei piani superiori ci stava sempre, automaticamente, uno della famiglia che era stato ngalera. E come te ne accorgevi se sul suo conto nisciuno ti diceva niente? Te ne potevi accorgere quanno veniva ‘a stagione(l’estate). Quando per il caldo chiunque è costretto a indossare magliette a mezze maniche o ancora di più se teneva addosso una canottiera. E quanno vedevi il tatuaggio di colore bluastro, in genere era tatuato che raffigurava alla meglio, anzi peggio, la femmina amata che però poteva anche essere già morta perchè na cessa zoccola traditrice, ma anche cuori trafitti da una spada e le gocce di sangue, sempre blu, che colava sull’avanbraccio. Altri tatuaggi si trovava sui pettorali e nella parte superiore del braccio. E quando li vedevi con i loro tatuaggi, pensavi: “O vi lloco(eccolo)chisto è stato ngalera).
Infatti, i tatuaggi, messaggi non solo per la fidanzata o ‘a mugliera amate o traditrici, erano rivolti anche agli altri abitanti dei vicoli come a dire: “Gent, gent, mò sapite ca so’ state ainte, so’ state ‘a Poggioreale. Misuratevi la palla”.