«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
AUTOBIOGRAFIA DEL ROSSO
Anne Carson
Traduzione di Sergio Claudio Peroni
La nave di Teseo 2020
Commento di Cornelio Nepote
Addobbatissime babbonatalizie signore e sovrane,
oggi vi deluderò, mio malgrado, parlando insensatamente e pretestuosamente di horror vacui.
Horror vacui, si diceva. Un alito fetido che terrorizza a ogni passo della lasciva quotidianità. Orgoglioso l’Uomo sale su teutoniche vetture concepite come mausolei della certezza dell’esistenza, tra odori di colle resiniche ed essenze muschiate quando viene avvolto da costellazioni di luci al led colorate che insieme vogliono soltanto dire una cosa: stai tranquillo, va tutto bene, non ci sono vuoti, assenze, buchi neri vicini nei quali potresti scivolare, né mai ci saranno.
Profeti, santi e sacerdoti di ogni altezza e larghezza si sono dati gran pena per riempire prima la vita, ma soprattutto la morte, di cose da fare: viaggi avventurosi, premi, punizioni, incontri, fatiche, godimenti. Puoi professare la religione che ti pare, ma con la morte ti aspetterà sempre un aldilà di vita intensa e indaffarata.
C’è una buona ragione per la quale gli atei sono unanimemente disprezzati e ritenuti gente arrogante, arida e insensibile. Ti puoi agitare quanto vuoi a cercare di spiegare che l’esistenza mortale è già sufficientemente piena di vita per dover immaginare di proseguire allo stesso modo anche nella vita da morto, sei e sarai sempre un arido arrogante che sostiene l’assenza nella morte, un barbaro adoratore del vuoto, un essere spregevole che ha preso troppo letteralmente la faccenda della polvere che eri e tornerai a essere.
Oppure sei un pazzo.
In un mondo di pazzi, non c’è peggior accusa che essere un pazzo.
Pazzo come lo sono i grandi solitari, gli eremiti, gli isolati, gli asociali, i taciturni, gli introversi, tutti quelli che sembrano non provare il supremo, assoluto, imperante horror vacui.
O fingono, o sono degli aridi arroganti, oppure sono pazzi. Quartum non datur.
Alla lunga, sicuramente diventano dei pazzi.
E come questi, tutti coloro che sembrano immuni dall’horror vacui. Quelli che sembrano convivere bene con l’incertezza irrisolvibile, quelli contenti delle contraddizioni di fondo, quelli che non stanno né a destra, né a sinistra, ma neppure al centro, di sopra, di sotto, né con gli amici, né con i nemici, quelli che non stanno da nessuna parte, eppure stanno, sopravvivono, si muovono, parlano con apparente normalità, non si sa come però riescono a convivere con la vacuità.
Sono le stigma del demonio, non c’è dubbio, si brucino le streghe, si squartino gli eretici, che tu sia cristiano, musulmano, induista, ariano, giansenista, agnostico o scientista panteista, inginocchiati davanti all’unico vero, grande, unico, assoluto Dio che ti è dato: l’horror vacui.
Ho letto Autobiografia del Rosso, testo sopraffino di una grande autrice, Anne Carson.
Ho letto Autobiografia del Rosso e non vedevo l’ora che finisse, come quando si incontra un conoscente che ha tutto per piacere e risultare gradevole e ogni minuto in più in sua presenza è solo fastidio e insofferenza. Fortuna che è corto altrimenti lo piantavo senza finirlo, ma rimane senza il minimo dubbio un gran libro di una grande autrice.
Scusa, ripeti che non ho capito bene.
Non scherzo, dico che è innegabilmente un gran libro di una grande autrice.
Ma tu non vedevi l’ora che finisse altrimenti lo piantavi a metà, giusto?
Sì, è così.
Ma perché?
Perché? Per nessun motivo. Perché sì, come insegnavano a non dire mai, ancora perché la mancanza di senso, l’assenza di spiegazione è orrore.
Perché questa reazione dissociata? Forse intendevi che, vista la stima e ammirazione per l’autrice, il piacere della lettura di sue precedenti opere, un sentimento meno che di vero entusiasmo risulta in una delusione? Cioè tutto è relativo?
No, l’insopportazione era assoluta, non relativa. Come lo è il giudizio di eccellenza letteraria.
Allora forse un’antipatia irrazionale? Magari una reazione nervosa, nevrotica?
Ecco che succede la solita cosa… perché non dici reazione psicotica, allora? Bisogna avere qualche rotella fuori posto per convivere con una simile dissociazione di ragione e sentimento, alla fine è sempre qui che arrivi, vero?
Se trovi che sia un’opera sopraffina di una grande autrice, non puoi provare un rigetto come quello che descrivi. Non vedevo l’ora che finisse, hai detto. Oppure non è vero che pensi che sia un’opera sopraffina, lo dici dopo una rielaborazione, il tuo rettile razionale è entrato con una spallata e ha rimesso le cose secondo l’ordine precostituito. Non puoi tenere insieme due opposti come quelli, è come mettere le mentos nella coca cola… non puoi far finta che sia una cosa normale… ma come fai?
Non posso.
Preghiera
Dio horror vacui
Signore salvami dall’assenza
Dio horror vacui
Madre salvami dal vuoto
Dio horror vacui
Padre dammi il senso compiuto
Dio horror vacui
Amici riempite di parole il silenzio
Dio horror vacui
Signore senza soluzione di continuità proteggimi
Il solitario, la strega, l’introverso, l’ateo sorridono indifferenti davanti tanto disperato annaspare in cerca di aria, di terra, di approdi. I devoti dell’horror vacui appaiono teneri per quanti sforzi spendono nel cercare di compiacere il loro re. Come formiche vivono portando cibo nel nido e niente ha più senso di quel continuo andirivieni. Sono missionari, evangelizzatori, vesti nere di gesuiti che viaggiano tra i selvaggi mossi dall’imperativo di riempire l’horror vacui proprio, altrui, del mondo, della natura e di ogni creatura. Nessun vuoto deve essere lasciato scoperto, ogni buca chiusa, ogni crepa sigillata, perché ogni vuoto, o buca, o crepa è un buco nero che si allarga e prende a risucchiare tutto quello che si avvicina. Temono di finirci dentro.
Lo fanno anche quando scrivono, quando leggono, quando commentano, insegnano, amano, lo fanno sempre. Come è possibile amare e non amare, piacere e rigettare, volere di più e volere di meno, ascoltare e non ascoltare?
È un imbroglio! È squilibrio! È il caos!
Come si fa a dire qualcosa di un libro che non si vedeva l’ora che finisse e che è innegabilmente un’opera sopraffina di una grande autrice?
Di cosa si parla? Da dove si inizia?
Ci si butta a parlare delle proprie nevrosi per dare un senso all’inconsistente?
Si può dare colpa all’editore, in fondo La nave di Teseo si presta per dargli o darle colpa di qualcosa.
Si passa all’analisi del testo, delle trovate letterarie geniali di Anne Carson, della storia che lievita e spumeggia come cumuli di nuvole, dei riferimenti eruditi, del sottotesto che sussurra all’intelligenza del lettore, si può dire tutto questo omettendo quel piccolo, scabroso dettaglio personale insignificante rappresentato dal fatto che non si vedeva l’ora che finisse?
Oppure si usa il libro per specchiarsi nella propria incoerenza.
Narciso si specchia, vede dei vuoti e narcisisticamente pensa che siano chiari segni di intelligenza. Tanti più buchi, tanta più intelligenza. Quando non sarà rimasto più nulla, avrai raggiunto lo stato di intelligenza suprema. Non molto diverso da quelli che pensano di essere Cristo, l’Anticristo o il Buddha, o per i più acculturati, quelli che pensano di scrivere come sapeva fare Bernhard.
Perché in ogni commento, in ogni recensione, in ogni giudizio espresso ci si preoccupa prima di tutto di essere coerenti? Di essere logici e interrare i vuoti, di spiegare e riempire buche, di argomentare e sigillare crepe?
Perché altrimenti chi ci capirebbe.
Perché altrimenti ci direbbero pazzo, strega, insensato.
Se è amore si ama, se è odio si odia, se è godimento si gode, se è sofferenza si soffre.
Interra, riempi, sigilla.
Interra, riempi, sigilla.
Fino alla fine, e anche dopo.
È il culto dell’horror vacui.
È la palude stigia di voci che ininterrottamente forniscono spiegazioni, da ogni dove, per sempre.
Viva la vacuità, viva l’assenza, viva la coscienza con i buchi, viva Anne Carson, viva i suoi libri che amo e non vedo l’ora che finiscano altrimenti li mollo, e basta con il nichilismo da fumetto.
Dico a te, fanatico adoratore del dio horror vacui, compilatore di recensioni di abissale coerenza, lettore di vacua consistenza, commentatore di vuota convinzione, tu che vivi nel terrore dell’incomprensione e ininterrottamente spieghi, tu tremebondo all’idea di guardarti dentro e scoprire che non c’è un abisso antropomorfo a ricambiare lo sguardo e a cui fornire spiegazioni ma solo un comune abisso inanimato, muto e sordo; tu che ti senti sminuito se per provare di amare non ami selvaggiamente, se per dimostrare di odiare non vomiti tutto l’odio accumulato nel tuo colon, o se per leggere un libro non allinei tutti i pianeti del sistema solare in una grande cosmica spiegazione, a te dedico pensieri senza capo né coda, sguardi miopi che intravedono solo sagome sfocate di donne procaci, un blaterare insensatamente svogliato ed è con gran piacere che apro un nuovo libro di Anne Carson.
Cornelio Nepote
Horror Vacui, Ansel Kiefer, 1980. The Met, New York
Ancora un grande lavoro.
Con il vantaggio che questo testo lo sento come rivolto a me e un po’ anche al mio modo di scrivere.
Mi piace pensare che quel “fanatico adoratore del dio horror vacui, compilatore di recensioni di abissale coerenza, lettore di vacua consistenza… ” possa essere io, anche io.
Grazie, grazie, grazie.