2000battute

«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Nella testa del dragone / La Cina è già qui – Giada Messetti

NELLA TESTA DEL DRAGONE
Giada Messetti
Mondadori 2020

LA CINA È GIÀ QUI
Giada Messetti
Mondadori 2022

Questi sono due saggi per una lettura leggera e interessante che stanno bene insieme, prima uno poi l’altro, in ordine, come due parti di uno stesso discorso. Giada Messetti è giovane sinologa ma con una già ampia esperienza della Cina e racconta, soprattutto, quello che ha visto, quello che ha sentito, i cambiamenti che ha osservato, le notizie che ha letto e le conversazioni che ha avuto vivendo a più riprese in Cina in anni di trasformazioni profonde.

Racconta, appunto, più che spiegare o analizzare e tanto meno pretendere di giudicare. Cerca di interpretare, ovviamente, e di fornire alcune chiavi di lettura, con il grande merito però di non scivolare nei soliti, triti e deprimenti vizi che affliggono purtroppo molti dei commentatori di cose cinesi o, come piace dire oggi facendo gargarismi mentre lo si dice, di cose geopolitiche: la superficialità di pensiero e la sintassi arrembante, l’ossessione per i giudizi categorici e gli imperativi morali, la livida pretesa di superiorità culturale e antropologica, l’atteggiarsi a saggi che forti di una conoscenza superiore, in realtà solo didascalica e fuorviante, possono spiegare l’inspiegabile e così via, di fesseria in fesseria, fino all’inevitabile scivolamento nel razzismo e manicheismo.

Se anche si conosce appena la storia della Cina e si prova a mettersi nei panni di un cinese, sfido a non ammettere che diffidare dell’Occidente sia il pensiero più naturale da avere. E le premesse non sembrano essere cambiate più di tanto in questo ventennio degli anni 2000 rispetto ai due secoli precedenti.
Posso immaginare sopracciglia inarcate a domandarsi: e i diritti civili? e la democrazia? e le libertà religiose, politiche, di espressione, la libera stampa? Le releghiamo semplicemente a diversità di vedute, libere interpretazioni, retaggi culturali differenti? Vogliamo veramente far cadere ogni cosa nel relativismo assoluto invece di dire con coraggio che un modo di concepire lo stato moderno è migliore dell’altro, che la presenza di diritti non è un’opzione alternativa alla loro assenza e così via?

Dove segnamo il confine tra l’astenersi da esprimere opinioni sostenute da pregiudizi e conoscenza incerta e il rifugiarsi nella comoda tana intellettuale dell’equidistanza distaccata?

Non lo so, non so se lo sa qualcuno.

Forse Giada Messetti se l’è chiesto, forse anche lei ha concluso che quel confine era troppo flebile per scavarci una trincea e difenderlo fino all’ultimo uomo, forse c’entra la vecchia faccenda che guardando una cosa dal di dentro o dal di fuori spesso non si vede la stessa cosa, o anche che per conoscere bisogna vivere, fatto sta che nei suoi due libri fa una scelta saggia: osserva e commenta con rispetto, anche quando solleva delle critiche, rispetto dovuto a una civiltà e cultura antica tanto quanto la nostra, se non di più, rispetto dovuto all’inevitabile estraneità di chi ha solo provato a conoscere, e Messetti ci ha provato molto di più di quasi tutti, rispetto dovuto all’infinito sovrapporsi di esperienze e differenze che vanno tutte sotto il nome di Cina, il rispetto dovuto anche a se stessi per l’esercizio della propria libertà di opinione ed espressione, del non dire stupidaggini per autocompiacimento, per narcisismo, per boria, per incontinenza intellettuale.

Il suo è un raccontare leggero, piacevole, saltando su e giù per la Cina dei luoghi e la Cina della memoria, a volte fa un po’ da guida per turisti sofisticati, altre fa da guida per storici dilettanti, altre commenta l’attualità però vista da là invece che da qua. Ma non si scambi leggerezza per vacuità, il suo è un raccontare serio, argomentato, informato, che non si dimentica mai della prima e fondamentale regola quando si ha a che fare con la Cina: è enormemente di più ciò che siamo incapaci di comprendere di quanto siamo riusciti a capire.

Nel primo libro, Nella testa del dragone, ripercorre le sue esperienze iniziali e l’enorme cambiamento che ha visto concretizzarsi a partire dai primi anni 2000. Soprattutto racconta e descrive cos’è il progetto della Nuova via della seta, come lo conosciamo noi, o Belt and Road Initiative, come più noto internazionalmente. Le scarne notizie che la nostra stampa ha riportato non hanno quasi mai spiegato niente e probabilmente gli stessi cronisti ne avevano capito poco. Più o meno ogni resoconto che si è letto poteva sintetizzarsi con: la Cina vuole invadere l’Occidente sul piano economico e il progetto della Nuova via della seta è il cavallo di Troia per la colonizzazione. Tutto quello che è andato sopra questo livello primitivo è stata l’eccezione.

Messetti descrive il contesto nel quale nasce quel progetto, il suo significato, la storia che lo ha generato, i protagonisti. E come al solito, niente è semplice e primitivo con le cose cinesi. È una storia interessante e ben raccontata che collega gli eventi fondamentali della storia della Cina moderna. Alla fine non ci si convince che la Belt and Road Initiative sia una meravigliosa occasione per noi e che ogni diffidenza vada superata, tutt’altro, i motivi per guardarla con occhio critico rimangono tutti molto ben presenti, però ci si sbarazza di quella stupida narrazione da gente primitiva che la stampa ha riportato. Già questo non è poco.

Altrettanto interessanti sono le osservazioni riguardo la politica e presenza cinese in Africa, altro tema che a noi è arrivato ovattato e presentato con la solita supponenza degli ignoranti. Ancora, il risultato non è quello di cambiare idea e iniziare a pensare che i cinesi siano i grandi benefattori degli africani, tutt’altro, ma di capire che c’è un intreccio di fili dipanati dalle potenze mondiali che avvolge ogni continente, attraverso i quali si giocano le partite politiche, economiche, forse anche militari dei prossimi decenni. L’Africa non ha benefattori, né occidentali né orientali, ma stati potenti che progettano avendo in mente i loro interessi e le occasioni che si pongono per soddisfarli. Quanto vale per l’Africa vale per molti altri luoghi del mondo, ovviamente. Di nuovo, non è poco riuscire a comprendere un minimo il contesto anche da una prospettiva cinese.

Con il secondo libro, o seconda parte del discorso, La Cina è già qui, Messetti mescola elementi della tradizione con elementi dell’ultramodernità cinese e il risultato è particolarmente piacevole da leggere. La breve storia della lingua cinese moderna è per sé affascinante, ma diventa una chiave di lettura anche dell’impressionante salto tecnologico e produttivo della Cina degli anni recenti. Diventa anche un monito importante di quanta enorme sia la distanza tra la cultura cinese e la cultura occidentale, distanza che si sottovaluta quasi sempre per la difficoltà di comprenderla.

Ed è proprio su questa distanza di cui raramente ci si rende conto nelle sue reali proporzioni che si concentra Giada Messetti. Un esempio: un film della Disney con protagonista una principessa cinese diventa l’espressione più eclatante di quanto poco l’Occidente abbia capito della Cina e della perdurante pretesa di volerla assimilare ai valori occidentali.

A questo proposito, un libro importante, che ovviamente non esiste in edizione italiana, è The China Mirage: The Hidden History of American Disaster in Asia di James Bradley (Back Bay Books, 2016), che ripercorre la storia disastrosa del rapporto degli Stati Uniti con la Cina. Il racconto è ricchissimo di eventi, dettagli e personaggi, molti gli avventurieri americani che proprio sfruttando traffici illeciti con la Cina hanno costruito enormi fortune e dinastie tra le più importanti della storia recente degli Stati Uniti. Ma ad avvolgere tutta quanta la storia dei rapporti tra Stati Uniti e Cina c’è una costante che permane immutata nei decenni, attraversa e in parte determina guerre militari ed economiche, plasma l’intera narrazione occidentale della Cina, è la perenne incapacità occidentale di capire la Cina, una incapacità che sembra quasi un tratto ereditario, scritto nei geni dell’uomo occidentale, tutto quello che poteva essere frainteso è stato frainteso, ogni pretesa di insegnare ai cinesi come si governa una società si è rivelata una immane sciocchezza da parte di coloro che non avevano capito un accidente della storia e della cultura cinese, e alla fine, immancabile, quasi per esasperazione, ecco arriva la reazione violenta dell’Occidente. Il libro merita di essere letto, è affascinante.

Ma torniamo a Messetti e a La Cina è già qui. C’è un’osservazione che lei fa che andrebbe meditata. Riguarda il fatto che in Cina “ogni epoca ha il suo Confucio” ovvero che esiste una continuità nella cultura e nella concezione della morale cinese che attraversa la storia fatta di epoche nelle quali si sono prodotti cambiamenti enormi, tragedie immani, guerre, rivoluzioni, miracoli economici. Questo di nuovo segna una distanza con la nostra esperienza occidentale, fatichiamo tremendamente a comprendere che quanto vediamo oggi della Cina, la figura di Xi Jinping ad esempio, il Partito Comunista, l’ultramodernità, la Nuova via della seta, tutto quanto, ha un forte legame di continuità con le precedenti fasi storiche della Cina, quella post-maoista, la Cina della Rivoluzione, e ancora indietro alla Cina imperiale, le diverse dinastie che si sono succedute. In Cina le chiamano epoche, quello che vediamo adesso non è che l’ultima, attuale epoca della storia della Cina. Da noi non esiste niente di nemmeno vagamente simile, per questo ci risulta incomprensibile. Messetti lo fa notare, ed è osservazione acuta.

Infine, ottime le osservazioni sul sistema valoriale. Principi come l’armonia sociale, la vergogna, il custodire la memoria del passato, incluso l’antico senso di umiliazione nazionale patito per mano delle potenze occidentali e molto altro sono elementi indispensabili per capire almeno un poco della Cina, sollevarsi da quel livello gretto e primitivo dell’ignoranza urlante dei commenti più frequenti.   

La «faccia», in una società fortemente gerarchica e collettivista come quella cinese, è ciò che determina l’immagine pubblica di un individuo all’interno di una comunità. Definisce la sua reputazione e il suo prestigio nei luoghi che frequenta: ognuno ha il dovere morale di conservare la propria «faccia» e quella degli altri all’interno dei suoi guānxì.
La vergogna in Cina non è una sottocategoria della colpa come in Occidente, esiste di per sé e serve a proteggere l’integrità dell’individuo e l’ordine sociale, assicurando conformità all’ambiente di appartenenza. Scrive la sinologa Renata Pisu: «La vergogna esiste di per sé e crea ossessioni e nevrosi collettive e individuali inibenti quanto quelle che la colpa provoca nella nostra coscienza di occidentali».
La colpa fa riferimento alla violazione di leggi interiori e non comporta un cambiamento dell’immagine del singolo all’esterno. La vergogna, invece, implica la messa in discussione pubblica dell’immagine dell’individuo. Ecco perché il confucianesimo non la cataloga come una semplice emozione, ma come una qualità morale, una virtù da perseguire per portare avanti il processo di perfezionamento che ogni uomo ha dinanzi a sé.
La capacità di provare vergogna in Cina non è un segno di debolezza come in Occidente, ma una forte impronta di rettitudine che si impara fin da piccoli per acquisire la consapevolezza del proprio ruolo nella società.

Una lettura piacevole, interessante, senza pretese accademiche o di esaustività che merita di essere affrontata come un unico racconto.
Naturalmente molto altro rimane e ci sarebbe da dire della Cina, altri punti di vista, altre esperienze, approfondimenti, molti altri tasselli di una civiltà millenaria e per i nostri occhi difficile da comprendere realmente, soprattutto quando gli occhi che guardano si accontentano velocemente di pochi, scarni frammenti che non restituiscono nessuna immagine d’insieme.

Eppure, i due testi di Giada Messetti fanno parte di una disponibilità scarsa di testi in edizione italiana. Vale per la Cina così come per molti altri temi importanti.
Forse prevale il senso di estraneità nei confronti della Cina, forse è colpa dei lettori, degli editori, dei librai, del governo, dei preti, dei social network, della scuola, dei no-vax, di quelli che fanno jogging invece di leggere saggi sulla Cina, chi lo sa, a qualcuno si deve pure dare la colpa.

Fatto sta che il messaggio più importante che si dovrebbe assimilare per pensare poi parlare civilmente, ovvero che quando si parla di Cina occorre sapere che si sta parlando di qualcosa che si conosce poco e si comprende ancora meno, rimane nelle pagine non lette, nei discorsi non pronunciati e si continua come sempre, come con tutto, in compagnia del solito rumore fastidioso.

  

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Questa voce è stata pubblicata il 1 luglio 2022 da in Autori, Editori, Messetti, Giada, Mondadori con tag , , , .

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