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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Il lago – Kapka Kassabova

IL LAGO – Ritorno nei Balcani in pace e in guerra
Kapka Kassabova
Traduzione di Anna Lovisono
Crocetti 2022

Ci sono due generi di libri che rifuggo: quelli che hanno come protagonisti dei bambini e quelli che hanno come protagonisti degli animali. Poi ce n’è un terzo che non rifuggo ma certamente guardo con grande sospetto: le storie autobiografiche.

Per i primi due non ho molto da dire: a meno che tu, presunto autore o autrice, non sia la reincarnazione di Mark Twain o Jack London, cosa non impossibile ma estremamente improbabile, secondo me sarebbe meglio se invece di libri tu producessi pomodori. Questi due casi però non c’entrano nulla con Kapka Kassabova e il suo Il lago, l’ho scritto unicamente per fare della scena.

Le storie autobiografiche invece c’entrano perchè Il lago lo è. Sulle storie autobiografiche credo valga questa regola: lo scrittore scarso scrive di sé e del proprio paesello illudendosi che questo possa essere interessante; lo scrittore mediocre scrive di sé e del suo paesello come scusa per far sapere la sua opinione su questo e quello, illudendosi che possa essere interessante; il bravo scrittore non dà gran valore alle sue opinioni e narra una storia che parte da un frammento irrilevante e minuscolo, la propria storia e quella del suo paesello, e la trasforma in una grande storia che attraversa monti, valli, confini e opinioni. Kapka Kassabova è una brava scrittrice, con tutta evidenza.

Il frammento minuscolo e irrilevante della sua storia è un luogo isolato all’incrocio di tre nazioni: Albania, Macedonia del Nord e Grecia, una regione boscosa, avara e marginale dove si trovano due laghi antichi: i laghi di Ocrida e di Prespa. Sullo sfondo le ombre cupe della storia che è avanzata per ondate alluvionali: l’impero Ottomano e l’islam, le guerre delle grandi nazioni europee, il pugno di ferro dell’Unione Sovietica, ancora guerre, questa volta fratricide.

Come quasi tutto nei Balcani, anche in questa remota regione ogni cosa è il prodotto di ibridazioni, sovrapposizioni, mescolamenti, confini in continuo cambiamento, una moltitudine di tradizioni, etnie, storie e popoli frammentati e sparpagliati sul territorio come se una mano avesse scagliato i frammenti a pioggia. A fare da filo comune, la povertà e la violenza.

Kapka Kassabova ha radici in questo angolo remoto d’Europa e vi ritorna per narrare una storia. È uno spazio minuscolo quello nel quale si muove, stretto e opprimente per conformazione geologica e abitudini, in quello spazio rivolta ogni sasso, ascolta ogni voce, visita ogni anfratto e con meticolosa pazienza rimette insieme i frammenti. È una prospettiva frattale quella che talvolta emerge, dove l’infinitamente piccolo riproduce la forma e i movimenti dell’infinitamente grande. Un microcosmo che rappresenta il cosmo intero, si dice spesso in questi casi, eppure c’è di più o qualcosa di diverso. Anzi c’è un rischio che Kassabova riconosce ed evita: il rischio di perdersi nella metafora del microcosmo, il rischio di rimanere abbagliati da quelle spirali psichedeliche di una forma frattale.

Il piccolo non rappresenta il grande. Il luogo minuscolo e remoto diviso da confini non rappresenta i conflitti tra gli stati nazionali. Non basta il cambio di prospettiva o una lente deformante per vedere il grande attraverso il piccolo perché nel piccolo si ascoltano le voci dei singoli, si osservano le cicatrici sulla pelle delle persone, le amputazioni nelle famiglie, si raccolgono le storie degli ultimi, quelli che hanno subito le conseguenze di tutti gli altri più grandi di loro.

Dalle rive del lago di Ocrida quello che si osserva non è l’intera storia dei Balcani come vista da un immaginario telescopio, ma una sua versione deformata dalla prospettiva, mozzata dall’ombra delle montagne ripide che lo circondano, strappata dalle confessioni religiose che si sono insinuate e poi mescolate in un sincretismo rozzo, dalle chiese e tombe e santuari che si sono appropriati di ogni anfratto, da confini visibili e invisibili presidiati da dogane decrepite e guardie apatiche. Dalle rive di un lago in un angolo dimenticato d’Europa si può solo rievocare i ricordi delle brutalità che si sono succedute e il fatalismo rassegnato che si tramanda di generazione in generazione quasi fosse un carattere ereditario. Dalle rive di quel lago si possono osservare gli sparuti discendenti di popoli rimasti aggrappati a rupi scoscese e a uno spirito identitario fasullo e feroce.

La piccola storia dei laghi di Ocrida e di Prespa è una storia senza lieto fine e con un senso aleggiante di oppressione. Non c’è romanticismo nella narrazione di Kassabova quanto venature di nostalgia e rassegnazione. La nostalgia di casa, la nostalgia delle radici che prova chiunque abbia vissuto sradicato e straniero e la rassegnazione che viene dalla consapevolezza che quel piccolo angolo di terra è e sarà sempre un corpo indifeso il cui destino si decide altrove, per ragioni incomprensibili. È qui che la visione attraverso il prisma dell’immaginazione può restituire la visione del generale da quella del particolare e fare dei laghi di Ocrida e di Prespa una metafora della vita e del mondo. Occorre esercitare prudenza. La storia dei laghi di Ocrida e di Prespa è la storia di chi sta a valle del torrente della storia e l’acqua che beve non è la stessa di coloro che stanno a monte, ma è quella che quelli a monte, le grandi forze della storia, i potenti vicini e lontani, decidono possa bere.

Un’ultima cosa. Perché leggere la storia dei laghi di Ocrida e di Prespa? Perché sapere la storia di luoghi e persone marginali che sono e rimarranno estranee?
Per informazione, per piacere, per cultura, per curiosità… certo. In teoria.
Dopo averla letta, mi domando: Ha sollevato il senso di stanchezza?
Il senso di stanchezza. Non la cultura personale, la conoscenza, la consapevolezza, il piacere di lettura… concetti sempre più astratti col passare del tempo.
Stanchezza per sé, per le persone, per i fatti del mondo, per i discorsi intelligenti, per la sete di conoscenza, per la morale, per le prassi, per le conversazioni, per gli incontri, per i prodotti dell’uomo e forse per la storia umana tutta intera.
Il senso di stanchezza è dominante e c’è da chiedersi da dove lo si osserva.
Da un angolo remoto come le rive del lago di Ocrida da cui si ricava al più una vaga, parziale e distorta visione del senso di stanchezza? Visione miope di rozzo sincretismo?

Leggere Il lago e ritrovarsi sulle rive del proprio lago di Ocrida, forse questa è una inattesa conseguenza della lettura della storia di Kapka Kassabova che non allevia il senso di stanchezza.
Forse è una stanchezza necessaria, una conseguenza ineludibile dell’epoca e degli anni, Kapka Kassabova scrive una storia che agisce come la superficie specchiata di un lago molto antico, immemore e immobile dall’alba dei tempi che riflette quello che ognuno di noi sa o può o è, ognuno con i propri confini mobili, le proprie illusioni infrante, i propri santi protettori, le ferite familiari, gli anni da straniero. Certo, è sintomo di stanchezza anche questo collasso della prospettiva su un particolarismo individuale perdendo la visione d’insieme, di spazio e di tempo. Spazio e tempo che si dilatano e si comprimono nelle interpretazioni, pone dei problemi questo Il lago, più di quanti mi sarei immaginato, produce un eccesso di domande, troppi i punti di vista che si affacciano, troppi i riflessi sulla superficie specchiata, non mi lascia tranquillo, non conclude nessun discorso che ha iniziato, non consente un giudizio, mi autoassolvo o mi autocondanno?, e ancora più forte pulsa il senso di stanchezza.

7 commenti su “Il lago – Kapka Kassabova

  1. Paolo Gerin
    7 agosto 2022

    Lo leggerò, grazie. Posso chiederti se hai mai letto Hotel Tito? Non ho trovato la recensione, lo consiglio dal profondo dell’anima.

    • 2000battute
      8 agosto 2022

      Non ho letto Hotel Tito e lo cercherò. Credo che anche l’altro titolo pubblicato in italiano di Kapka Kassabova meriti la lettura.

    • Paolo Gerin
      8 agosto 2022

      Ti ringrazio molto, ne tengo nota

  2. Dalia
    6 agosto 2022

    Ho letto il commento ad Anime baltiche. Libro in attesa. Metto quest’altro.
    Bellissimo ciò che lei ha scritto.

    • 2000battute
      8 agosto 2022

      Anime baltiche è un bellissimo libro che affascina. Gli altri di Brokken invece tendono a deludere.

  3. Renata Semprini Cesari
    5 agosto 2022

    Il piacere di leggere le sue recensioni
    Bravissimo
    e ora non mi resta che cercarlo

    • 2000battute
      5 agosto 2022

      È un bel libro. Molto meticoloso, a volte forse perfino troppo, e non lascia l’animo leggero.

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Questa voce è stata pubblicata il 5 agosto 2022 da in Autori, Crocetti, Editori, Kassabova, Kapka con tag , , , .

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