«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
I SECOLI LUMINOSI – La sorprendente storia della scienza medievale
Seb Falk
Traduzione di Angela Ricci ed Elisa Tramontin
Ponte alle Grazie 2022
L’editoria italiana è indubbiamente curiosa. Quando poi si tratta di saggistica diventa bizzarra. Spesso bizzarra in senso negativo per le scelte editoriali deprimenti. Ci sono però eccezioni e questo I secoli luminosi è addirittura sorprendente in senso positivo al punto che viene da chiedersi se quelli di Ponte alle Grazie siano editori eroicamente coraggiosi oppure non avessero capito proprio esattamente che tipo di saggio fosse quello che andavano a pubblicare. Non mi sbilancio e sto con il 51 a 49% di probabilità per le due opzioni.
Per riassumere in breve l’oggetto del saggio, perché poi ho altre cose da dire a proposito di divulgazione scientifica in Italia, è una storia della scienza nel periodo del Basso Medioevo – l’arco temporale considerato è grossomodo a cavallo tra 1300 e 1400 – centrata in particolare sulle osservazioni e teorie astronomiche sviluppate soprattutto da monaci inglesi.
Seb Falk, con una mossa tanto classica quanto magistrale, prende a prestito un personaggio reale per fare da guida alla narrazione: John of Westwyk, divenuto monaco nell’importante monastero di St Albans, vicino a Londra, poi trasferito nel priorato di Tynemouth in Scozia, in seguito crociato. Non si tratta di un personaggio celebre e questo è importante per la storia che, a differenza di quanto fanno spesso gli autori di opere divulgative, non è una collezione di vicende e aneddoti di uomini famosi ma la storia di un’epoca e del suo pensiero scientifico che sono stati costantemente e volutamente riportati in maniera distorta dalla storiografia moderna.
Il Medioevo come “epoca buia” descritta solo in termini di superstizioni tardopagane e fanatismi religiosi, attraversata da violenza e pestilenze fuori controllo, è uno stereotipo ormai riconosciuto come completamente falso ma sul quale si è costruita tutta la narrazione apologetica del Rinascimento prima, dell’età moderna poi. Il grande equivoco che è stato creduto come una verità tautologica è che non esiste scienza senza la figura dello scienziato, la quale è una delle creazioni migliori della visione illuministica dell’età moderna. Niente è più emblematico della contrapposizione tra scienza e istituzione religiosa, scienziato e clero, della figura di Galileo. O almeno, così è stato sempre raccontato ai posteri. Quella narrazione contiene un falso storico e un equivoco.
Il falso storico è che gli scienziati del Rinascimento come Galileo non fossero i diretti eredi della ricca e lunga tradizione di importanti studi e progressi scientifici compiuti nel Medioevo, spesso proprio da monaci e appartenenti a istituzioni religiose. L’equivoco è quello citato prima: la figura dello scienziato nasce nel Rinascimento e raggiunge il suo pieno sviluppo nell’Illuminismo europeo con l’affermarsi del metodo scientifico moderno, per poi professionalizzarsi in tempi più recenti, ma la storia della scienza e del pensiero scientifico comincia molto prima e ha avuto periodi di grande diffusione e successo partendo da molteplici luoghi geografici e attraversando confini, religioni e culture.
La scienza moderna, occidentale, laica, professionalizzata, non è l’unica, vera scienza nata improvvisamente dal rifiuto dell’oscurità dei secoli medievali compiuto in Europa a favore di una nuova luce intellettuale, artistica, civile e sociale. La scienza moderna e la figura dello scienziato nascono grazie alla scienza medievale, sono i figli diretti di quei monaci che hanno gettato le fondamenta dell’astronomia, dei matematici arabi che hanno fondato la trigonometria, degli alchimisti, tramandati a noi alla stregua di stregoni e truffatori, che hanno creato la chimica e la medicina moderna. Quelli non erano scienziati nell’accezione contemporanea professionalizzante, ma erano uomini di scienza, grandi uomini di scienza e clerici, in molti casi, quando scienza e fede religiosa erano intrecciati in una narrazione che a noi è sconosciuta, non comprendiamo più e giudichiamo superficialmente.
Ne I secoli luminosi si narra la storia di un monaco come molti altri, vissuto in un tempo e in un luogo al centro di alcuni progressi scientifici stupefacenti nel campo dell’astronomia. È una storia che per molti versi ci lascia sbalorditi perché sovverte elementi che nella nostra tradizione umanistica e scientifica diamo per scontati. Ad esempio, uno dei pilastri del metodo scientifico moderno è l’osservazione dei fenomeni e il processo logico di inferenza per dedurne le leggi naturali. La fisica è in questo senso la regina delle scienze moderne.
Quello che si apprende dalla storia medievale è che i monaci erano mossi dallo stesso spirito di osservazione dei fenomeni dei moderni scienziati. Le loro osservazioni seguivano i ritmi e i tempi dell’epoca, potevano durare anni, anni di paziente osservazione di uno stesso fenomeno e meticolosa annotazione di quanto osservato. Anni di compilazione di dati, numeri, misure, tutto trascritto giorno dopo giorno, notte dopo notte, in uno stato di tempo dilatato e lentissimo che fatichiamo a immaginare. A differenza degli scienziati moderni, raramente cercavano una legge naturale come spiegazione delle osservazioni compiute perché la spiegazione era necessariamente intrisa di divino, di fede e non era lo scopo ultimo delle osservazioni. Lo scopo era pratico, doveva risolvere problemi fondamentali. Doveva permettere di misurare il tempo, di stabilire il giorno nell’anno o l’ora nel giorno, di prevedere le maree secondo le fasi lunari, di calcolare la rotta nella navigazione, doveva servire per l’agricoltura, per scandire le funzioni religiose, per curare malattie di cui non si conoscevano le cause. La scienza serviva per la vita quotidiana in epoche nelle quali molte delle cose che per noi sono scontate erano sconosciute o inesistenti.
Leggere una storia della scienza medievale ci mostra quante sono le trappole nelle quali cadiamo dando per scontato conoscenze o convenzioni che un tempo non lo erano. Ad esempio, il fatto che le ore del giorno abbiano tutte la stessa durata. Facciamo persino fatica a capire cosa voglia dire. Come è possibile che le ore possano avere durate diverse se tutte sono di 60 minuti e ce ne sono 24 in ogni giorno? Facile dirlo dando per scontato che esistono gli orologi e che grazie a quelli noi stabiliamo quando inizia e quando finisce una certa ora. Provate a tornare indietro a quando non esistevano gli orologi e niente è più scontato, anzi, ci sono pure buone ragioni per avere ore con durate diverse a seconda del periodo dell’anno.
Seguire le tracce di John of Westwyk, monaco del monastero di St Albans alla fine del 1300 è un esercizio di umiltà necessario nei confronti di mirabili uomini di scienza che noi, nella nostra incapacità di comprendere i contesti, abbiamo dileggiato come figli ignoranti dei secoli bui.
Ma c’è di più ne I secoli luminosi ed ha a che fare con quel mio commento iniziale sull’editore.
Il fatto è che Seb Falk non si accontenta di una narrazione all’acqua di rose tanto per rendere giustizia al valore misconosciuto di quegli antichi monaci medievali e fornire al lettore contemporaneo qualche aneddoto pronto all’uso con amici e famigliari. Seb Falk entra nei dettagli dello spessore scientifico del lavoro di quei monaci e per il lettore contemporaneo sono guai. Sono guai perché a meno di non essere molto ben ferrati sulle basi trigonometriche dell’astronomia, seguire le descrizioni dei progressi scientifici di quei monaci è compito arduo, faticoso, capace di schiantare plotoni di baroni accademici tronfi di falsa gloria. In parole semplici, il saggio si fa parecchio tosto da leggere quando entra nei dettagli, e nei dettagli ci entra spesso.
Astrolabio inglese (c.1340).
La descrizione dell’astrolabio è una delle più affascinanti scoperte che abbia fatto in anni, una invenzione talmente spettacolare da lasciare a bocca aperta, ma cercare di capire il funzionamento dalle spiegazioni del libro è cosa di tale difficoltà da far fondere i neuroni. Semplicemente si capisce che ci vorrebbero anni di pratica e di studio per comprendere in modo esatto il funzionamento e saperlo usare in maniera corretta. E l’astrolabio non è l’oggetto più complicato che fu inventato in quell’epoca e descritto nel testo.
Questo per dare la misura di quanto sia posta in alto l’asta della completa comprensione di questo saggio, fuori della portata di praticamente tutti salvo qualche eccezione.
Piatto di un astrolabio per 52 gradi di latitudine.
Ovviamente non è necessario comprendere per forza tutto in un saggio ma ci si può accontentare di una buona proporzione e poi riflettere su quanto non si è stati in grado di capire.
È bene però saperlo perché alcuni potrebbero partire convinti di affrontare una facile lettura con i soliti aneddoti sulle stregonerie medievali e curiosità varie e finire schiacciati dall’impegno richiesto da questo saggio che è sì divulgativo, ma di una divulgazione che offrendo conoscenza accurata non risparmia fatica al lettore. Poi magari si lamentano che è troppo difficile e su questo vengo alle cose che ho da dire sulla divulgazione scientifica in Italia.
È da pochi giorni morto Piero Angela, giustamente ricordato come il più celebre e migliore divulgatore scientifico italiano. Forse non è cosa molto elegante criticare una persona appena scomparsa e nel caso di Piero Angela sollevare critiche risulta ancora meno piacevole visto che era persona garbata, di grande stile e innegabili meriti. Però qualche commento mi sembra d’obbligo.
Il primo è che troppo spesso si omette l’aggettivo “televisivo”. Piero Angela è stato il migliore divulgatore scientifico televisivo italiano. Va specificato “televisivo” perché il giudizio sui meriti di Piero Angela vanno messi in rapporto con il mezzo attraverso il quale si è espresso. Rispetto alla qualità infima della televisione italiana, al suo clericalismo, paternalismo e provincialismo nemmeno velato, la grettezza intellettuale delle presunte star, il giornalismo supino al potere e il generale lavoro pluridecennale di rincoglionimento degli spettatori con le urla da mercato, l’esibizione dell’ignoranza, l’adulazione del politico mafioso o del miliardario parassita dello stato, la divulgazione scientifica di Piero Angela è sempre stata giustamente celebrata come un’oasi di intelligenza e civiltà. Oasi rispetto a una palude di melma fetida.
Il secondo commento è che Piero Angela, garbato e accogliente, è stato un grande semplificatore e non ha fatto nulla per evitare di fare della sua semplificazione lo standard di qualità nazionale. La divulgazione scientifica di Piero Angela è divulgazione all’acqua di rose, un racconto edulcorato ed elementare con in mente lo stereotipo dell’italiano medio, ignorante e presuntuoso come una bestia. Certo molto meglio di personaggi equivoci tipo Maurizio Costanzo o i conduttori dei più recenti talk show protagonisti della peggiore televisione, ma a suo modo pure esso deleterio perché ha reiterato il continuo livellamento verso il basso tipico dell’approccio italiano a tutto quanto sia indirizzato a un pubblico generico. Il pubblico generico non è mai composto anche da coloro che vorrebbero più qualità, più impegno, più contenuti ma sempre e solo al massimo da quelli appena un gradino sopra il livello infimo.
Piero Angela è diventato, suo malgrado o con sua soddisfazione non lo so, emblematico del provincialismo italiano. Anzi, lo spirito provinciale italiano ne ha fatto il campione, ne ha fatto il manifesto dietro al quale nascondersi, l’alibi per reiterarsi in eterno. Piero Angela veniva e viene esibito come un trofeo: se siamo stati capaci di creare Piero Angela allora non siamo poi tanto male.
Quanta ipocrisia. Lo spirito provinciale italiano pervade tutto. L’università, la politica, la cultura, le istituzioni, l’economia, i media, la stampa, le famiglie, perfino i social network e le mode dei ragazzini sono espressione di provincialismo con la sua tipica inettitudine, inconcludenza, chiacchiera fine a se stessa, lavoro fine a se stesso, mancanza di prospettiva, di profondità di campo, perenne compromesso al ribasso, ignavia, chiusura nel proprio piccolo spazio ristretto.
Lo stato generalmente pessimo della divulgazione scientifica italiana riflette questo stato di cose, è conseguenza del provincialismo imperante a ogni livello. Recentemente Radio 3 Scienza, che fa buona divulgazione scientifica radiofonica, ha iniziato a chiedere ad alcuni ospiti di consigliare saggi scientifici divulgativi. Tutti pare si sentano in obbligo, o è stato loro richiesto, non so, di consigliare saggi tradotti in italiano, nessuno suggerisce saggi in inglese. È sconfortante, un’ammissione di provincialismo così esplicita che a nessuno sembra venire in mente di discuterne apertamente come sintomo di un problema culturale grave perché si dà per scontato che in Italia non ci sia alternativa possibile alla soluzione più provinciale.
Ovviamente la realtà è che sarebbe assolutamente possibile e un gran numero di persone sarebbe perfettamente in grado di leggere testi divulgativi in maniera adeguata a una comprensione sufficiente. Invece, nemmeno ci si prova, per pura pigrizia intellettuale, per apatia mentale, per mancanza di coraggio, per provincialismo, esattamente come si affermava con certezza che in Italia i film dovessero essere per forza doppiati, poi è arrivato Netflix e in molti hanno scoperto che spesso la versione originale sottotitolata è perfettamente fruibile se non addirittura migliore di quella doppiata.
Quindi, da qui la mia iniziale sorpresa per la pubblicazione di questo saggio da parte di Ponte alle Grazie perché in questo caso si rompe la consuetudine provincialistica italiana proponendo un testo enormemente interessante e affascinante, ma che risulterà molto difficile per quasi tutti i lettori, me compreso. I secoli luminosi è divulgazione scientifica di livello parecchio più alto per contenuti e difficoltà dello standard televisivo e di gran parte della solita saggistica divulgativa scientifica fatta di aneddoti e curiosità che gli editori italiani scelgono spesso di proporre al loro pubblico.
Il problema italiano è che mancano le alternative fintanto che si continua a insistere contemporaneamente sulla necessità dei testi in traduzione e sul compromesso al ribasso. Nell’editoria scientifica divulgativa ci sarebbe spazio per tutti, dal livello elementare e affidabile dello standard Piero Angela, all’intrattenimento leggero fatto di aneddoti e curiosità alla Labatut e anche ai testi di maggior spessore e impegno come questo I secoli luminosi. Qualcosa del genere sta avvenendo per l’editoria letteraria grazie soprattutto al prezioso lavoro dei molti piccoli editori che propongono o ripropongono titoli di qualità alta spesso ignorati o dimenticati. Evidentemente quei piccoli editori hanno scommesso sul fatto che i lettori italiani meritano fiducia e per ora stanno vincendo la loro scommessa.
Forse è tempo che anche nell’editoria scientifica divulgativa si dia maggiore fiducia all’intelligenza e al desiderio di qualità dei lettori italiani e da lì magari qualcosa inizia a muoversi anche in tutti gli altri ambiti afflitti dagli effetti del provincialismo, a partire dalla politica, la stampa e i media, la cultura, l’industria, le istituzioni. Non ci credo che avvenga ma di sicuro sarebbe possibile.
Innanzitutto un grazie per la misura con cui parla di Piero Angela. Osservazioni tra le più argute e pacate che ho letto in questi giorni di eccessi, dalle divinizzazioni alle livorose denigrazioni.
Volevo dire che, grazie a 2000 battute ho letto il saggio di Rutherford , non facilissimo ma, tutto sommato, accessibile.
Mi attrarrebbe “I secoli luminosi ” ma penso vi rinuncerò. Non ho gli strumenti.
Penso a quante deformazioni, mistificazioni, falsità ci hanno inculcato. E continuano… Mi vengono i brividi.
Grazie, ho cercato ovviamente di mantenere il rispetto dovuto a una persona come Piero Angela, mi fa piacere se ci sono riuscito.