«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
IL TEMPO SACRO DELLE CAVERNE
Gwenn Rigal
Traduzione di Svevo D’Onofrio
Adelphi 2022
Questo è un libro per il quale le mie aspettative erano stellari e come spesso accade, vuoi per l’infame meccanismo statistico che non dorme mai o una psiche incontentabile, alla fine sono rimaste in parte insoddisfatte. Tuttavia sarebbe ingiusto dare la colpa al libro e al suo autore, o almeno dare tutta la colpa. Di sicuro ha giocato una idealizzazione che ha anticipato la lettura e una narrativa preconcetta basata su niente, visto che del libro avevo scorso velocemente alcuni commenti e letto la sinossi.
A mia discolpa dico che la condizione esistenziale che costantemente diffida di qualunque opinione in forma di recensione perché o quelli che la espongono manco hanno letto dieci pagine dell’opera (taluni si vantano di aver letto le prime cinque pagine e ne danno pubblica notizia) oppure sono solo dei leccaculo, per professione o per passione, è snervante. Condizione questa, aggiungo, che da che esistono i social media è diventata praticamente impossibile da mediare con una più rilassata e fiduciosa nell’umana natura, visto il dilagare della ostentazione socialmediatica, che ormai sconfina su qualunque media, supporto o incontro, e della deplorevole pratica dell’esortazione imperativa (Dovete leggerlo!… Leggetelo tutti!), a cui si abbandonano non di rado anche autori variamente premiati, e che a me, non so se solo a me, genera molto disprezzo, quasi odio, un desiderio di prendere la loro sguaiata esortazione da mercato rionale e tirargliela in testa.
Tutto questo per dire che mi aspettavo di immergermi nel vero, autentico mito delle origini e nella sorgente dell’arte umana quando ho iniziato la lettura de Il tempo sacro delle caverne per scoprire invece che nessuna delle due cose era descritta, per il semplice motivo che nessuno è in grado di interpretare l’arte lasciata nelle grotte d’Europa dagli uomini di decine di migliaia di anni fa, tanto meno di costruire una storia del mito delle origini dei Cro-Magnon, dai cui dipinti nemmeno si riesce a capire se sia mai esistito qualcosa di simile a un mito fondativo.
Quindi, stante le cose in questo modo, la conoscenza che possa dirsi acquisita sull’arte delle caverne è quanto mai frammentaria e incerta, numerose le teorie che si sono succedute e che ancora convivono a vario grado, teorie più o meno fantasiose, più o meno balzane, più o meno screditate in liti accademiche, ma tutte immancabilmente prive di una base di evidenze scientificamente solide. Per cui, qualunque narrazione possa essere fatta sul mito delle origini e sull’arte del Paleolitico è opera di fantasia.
Questo mette definitivamente la pietra tombale sopra le aspettative stellari che, ingenuamente, mi ero fatto e pone il testo in una categoria diversa, quella del saggio che vorrebbe evitare il senso di disidratazione di una meta-analisi accademica, l’autore non è un accademico, ma per forza di cose ci scivola dentro assumendo spesso una forma compilatoria costretta a descrivere l’incertezza delle conoscenze e la frammentarietà delle opinioni degli esperti.
Il fascino romantico della narrazione che sarebbe sgorgata dal buio delle grotte affrescate per dare corpo al fiume del mito e dell’arte è defunto sotto i colpi della compilazione meta-analitica come il cactus qui di fronte a me sotto le mie improvvide e insensate annaffiature.
Niente fascino romantico, a meno di non trovarlo negli anfratti del mistero che accompagna la storia, la scienza, la natura umana e l’alba dei tempi, quando tutto nacque e noi oggi non riusciamo a capire come, quando, perché. C’è del fascino nella non conoscenza, non solo della cialtroneria, dipende da qualche dettaglio eventualmente da discutere in altra occasione.
Ci sono poi alcuni aspetti che hanno ulteriormente affaticato la (mia) lettura. Uno è editoriale, il libro è corredato da numerose immagini, purtroppo spesso troppo piccole e buie per poterle apprezzare bene nei dettagli che il testo commenta. Ad esempio i numerosi e dettagliati commenti sull’ipotesi che alcune delle grotte descrivano un mito della fertilità, a spiegare la gran profusione di vulve di varia foggia, e sull’insistenza (un po’ ossessiva sembra voler commentare l’autore) di certi esperti sul fatto che molti disegni vicini a fenditure nelle rocce siano interpretabili come parti umani o animali, perdono forza a causa della concreta difficoltà di vedere nelle immagini quanto il testo descrive. Sempre legato alle immagini, la scelta dell’autore di non aggiungere la didascalia ma solo numerarle e lasciare al testo il commento non sono certo sia stata una buona idea.
In alcune parti poi il desiderio di completezza dell’autore lo porta a elencare le varie opinioni, commenti, teorie, liti che si sono accavallate su praticamente ogni aspetto dell’interpretazione delle pitture, in questo modo facendolo scivolare nell’accademismo compilatorio che voleva invece scongiurare e a confondere il filo della narrazione. Talvolta l’autore sembra ripetere osservazioni, ad esempio sulla maggiore o minore inconsistenza delle teorie che sono state avanzate, e a insistere troppo nelle citazioni.
In tutto questo però il libro è ricchissimo di riferimenti, notizie e informazioni sulle pitture e sulla storia della ricerca scientifica che prova di dare un’interpretazione all’arte paleolitica. È interessante, anche se non ha la magia di una storia del mito delle origini, constatare l’enorme difficoltà interpretativa in mancanza di una letteratura e con distanze temporali così ampie da rendere un approccio comparatistico, ad esempio con popoli cacciatori-raccoglitori dei quali si ha conoscenza, inconsistente.
Quello che racconta bene Gwenn Rigal, oltre al narcisismo talvolta ingenuo degli studiosi, è la sensazione di brancolare nel buio, di osservare un vasto catalogo di pitture, ma anche incisioni, sculture, segni, oggetti, interventi all’aspetto delle grotte forse per volontà scenica o rituale, quell’apparentemente ricco simbolismo, quelle immagini che sembrano richiamare i miti della fertilità, immagini stilizzate di animali che forse rappresentano scene di caccia ma potrebbero essere qualcosa di completamente diverso, tutto questo che chiamiamo arte delle caverne che possiamo osservare ma non abbiamo idea di come interpretare, che sfugge alla nostra comprensione nonostante gli sforzi, l’esperienza, le tecniche scientifiche e forse rimarrà per sempre incomprensibile.
È questo l’aspetto che conferisce profondità al libro, la possibilità che, nonostante si possa ammirare la “cappella Sistina del Paleolitico” e centinaia di altre raffigurazioni, il loro significato rimarrà per sempre irrimediabilmente perso nel buio del tempo e con quello la spiegazione di come nacque quello che siamo nella nostra dimensione intellettuale e artistica. Come dire che non esiste il mito delle prime origini, il che è un’evidenza parecchio difficile da accettare e a cui dare corpo.
E se si vuole arrischiare un passo in più, si può pensare che, nonostante manufatti e opere materiali possono sopravvivere a lungo, è solo questione di tempo perché ogni società umana perda significato agli occhi dei posteri, diventi incomprensibile, si disumanizzi, e la storia si interrompa.
Se ci si accontenta di riflettere su questo, allora Il tempo sacro delle caverne è opera che accompagna nel difficile e affascinante viaggio nel buio della non conoscenza.
Per quel che riguarda le mie ingenue, sovradimensionate aspettative e la difficile convivenza con il vociare diffuso, un’altra buona occasione per una seduta di autocoscienza.
Caro 2000battute. Condivido con te l’ansia stellare prima dell’acquisto e l’attenzione presa a picconate via via che proseguivo nella lettura e negli esasperanti elenchi di grotte e studiosi o figure e immagini che l’autore ogni volta si sente in dovere di citare nel testo anziché in nota. Alla fine diventa un lavoro compilativo, come una tesi di laurea, dove si deve dimostrare ai docenti di saper maneggiare le fonti. Ecco: Rigal sembra aver scritto questo libro (meritorio) più per le sue fonti che per il pubblico. Se vuoi lasciarti incantare e convincere con una teoria interessante e citata nel testo, allora il miglior libro (che ho trovato nel bookshop di Lascaux qualche anno fa) è The Mind in the Cave, di David Lewis-Williams (credo solo in inglese, se non lo hanno tradotto di recente) e – per avere una visione d’insieme, anche se riferiti a epoche prevalentemente posteriori, anche L’alba di tutto di David Graeber e David Wengrow. Se interessa, ti passo il link della mia recensione: https://www.valasco.org/graeber-wengrow-lalba-di-tutto/
Grazie per la segnalazione di The Mind in the Cave, lo cerco. Leggo il tuo commento.