«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
BLACK TULIPS
Vitaliano Trevisan
Einaudi 2022
Io non so se sia esistito un tempo nel quale la pesantezza veniva vissuta con leggerezza. Si può facilmente idealizzare che questo sia stato il caso del tempo dei romantici, con i loro sospiri, palpitazioni, spleen e suicidi, reali o solo inscenati, dal gusto cosī meravigliosamente letterario che è bello leggerne, forse era bello anche viverne, di certo ha un aspetto molto diverso dai tempi nostri.
Tempi nostri invece di pesante pesantezza e pesante leggerezza che hanno perso, come una coda scimmiesca rattrappitasi e caduta per l’inutilizzo, ogni pretesa e gusto letterario della vita. Chiunque oggi cammina costantemente sull’orlo della pesantezza, pure chi pretenderebbe di essere persona leggera che vive con leggerezza. Abbiamo inventato la sgradevole pesantezza della leggerezza. Basta guardarsi intorno per vederla ovunque. Forse non l’abbiamo inventata noi, chi lo sa. L’abbiamo adottata, per lo meno.
Questo è il pensiero che mi ha inseguito leggendo Black tulips di Vitaliano Trevisan, la cui scomparsa rappresenta una perdita di proporzioni abnormi per la leziosa e pretenziosa letteratura italiana contemporanea.
Mi ha inseguito e tormentato a ogni pagina che leggevo, ogni volta che inevitabilmente, così sembra, usciva quel maledetto pensiero ottuso, cioé quando a ogni aggettivo cupo che usava Trevisan, a ogni osservazione introspettiva sulla sua solitudine, a ogni accenno alla difficoltà di esistere, una voce sgradevole doppiava le parole di Trevisan con le sue e ripeteva Ecco, vedi perché si è suicidato! Lo dice qui!… e qui!… e qui!
Ti odio con tutte le mie forze stupida voce meschina che ti nascondi nella mia testa.
Ti odio perché sei leziosa e pretenziosa con la tua ottusa convinzione di poter vedere nella testa altrui, con la tua ottusa convinzione di conoscere i pensieri altrui, con la tua ottusa convinzione di spiegare gli altri.
Tu non vedi nella testa di nessuno, non conosci i pensieri di nessuno, non spieghi nessuno, nessuno, fossero anche figli, genitori, fratelli o sorelle, pure fratelli e sorelle gemelle, anzi siamesi, amici e amiche del cuore, amanti di una vita, uomini o donne della vita, maestri, profeti, discepoli, chiunque, ovunque, reali, irreali, ascoltati od osservati, di nessuno tu puoi vedere nella testa, guardare con occhi non tuoi, di nessuno.
Leggendo Trevisan ho combattuto con questo pensiero, con l’immagine della salma da esibire e la fetente dicitura di “opera postuma” che è una solenne fregatura perché un’opera, per definizione non è mai postuma, non può essere postuma, la fanno diventare postuma quelli che la vogliono vendere per sobillare la leziosità e pretenziosità borghese, il morboso desiderio di giudicare dall’alto della propria individuale insindacabile dottrina, il morboso desiderio di spiegare ai morti perché hanno sbagliato a lasciarsi morire o a decidere di morire. Purtroppo devo convivere ogni giorno con la leziosità e pretenziosità borghese che vive in me.
Vitaliano Trevisan parla di prostitute nigeriane, della sua lunga frequentazione come cliente, qualche volta se non proprio come amico almeno come essere umano, e di un suo viaggio in Nigeria ospite di una di queste e dei suoi amici. Di questo parla, in prima istanza, e io a quelli che hanno scritto cose come “è ambientato in Nigeria ma parla di noi” vorrei tirare uno schiaffo a mano aperta e con la rincorsa perché sono dei leziosi e pretenziosi borghesi che neanche provano a nasconderlo, perché non “è ambientato in Nigeria” ma parla di puttane nigeriane e delle sue scopate con le puttane nigeriane in provincia di Vicenza e poi della Nigeria e poi di sé. In questo ordine.
Cristo! Questa gente che non si ferma davanti a niente pur di anestetizzare tutto, imborghesire, far diventare ogni cosa una banalità da perbenisti delle pubbliche relazioni, che decide che non sta bene dire che Vitaliano Trevisan era un puttaniere e si scopava le nigeriane, Vitaliano Trevisan schifava quel modo di essere e lo scrive a chiare lettere, e stava scrivendo un libro sulle sue scopate con le puttane nigeriane e poi si è ammazzato e quello che lascia è un meraviglioso libro di leggera pesantezza e leggera leggerezza che chi vive immerso nella pesante leggerezza e pesante pesantezza deve sforzarsi di non essere la persona che è per lasciare che scorra, per ascoltare la voce di quel talento letterario enorme che era Vitaliano Trevisan, come sa far scivolare le parole e le frasi tra le dita, con naturalezza, con la stessa naturalezza con cui parla di Ade, di Hellen, di Sonya, senza mai nascondere nemmeno per un istante il fatto che loro sono puttane nigeriane e lui un puttaniere vicentino che va con loro per scoparle non per redimerle o per compatirle o per fare della morale pelosa, poi però aggiunge una cosa apparentemente banale, ma che fa andare fuori di testa la leziosa e pretenziosa voce borghese, e cioè che dopo la compravendita ci sono, ci sono sempre stati e rimangono gli esseri umani e tali sono anche la puttana e il puttaniere, tanto che un puttaniere vicentino può addirittura andare in Nigeria ospite della puttana nigeriana e dei suoi amici, e là andare in giro, tenersi per mano, scoparla, cenare, vedere l’oceano, vedere Benin City da dove arrivano quasi tutte le prostitute nigeriane che sono in Italia, vedere con i propri occhi, U see with ur eyes, oyibo… e leggere gli esseri umani senza mai credere di poter entrare nella loro testa.
Quindi, in Black tulips Trevisan parla di noi? Parla del suo imminente suicidio? Perché queste sono le domande principali, e non si spendono 17 euro per sapere della Nigeria e delle prostitute nigeriane che battono sulla statale per Verona, a cui non interessa niente a nessuno, o quasi.
No, siamo noi, mentre lo leggiamo, che sentiamo una voce nella nostra testa dirci che si sta riferendo a noi, che sta parlando del nostro modo di vivere, e che si sta riferendo a lui e al suo suicidio, siamo noi che vogliamo sentire parlare di noi a tutti i costi ed è la nostra morbosità a ubriacarci all’idea che ci sia un cadavere da commentare, all’idea del puzzo di morte.
Se c’è una cosa tra queste che ci riguardano che Vitaliano Trevisan fa e fa bene è di mettere in chiaro quanto il nostro noioso individualismo sia una prigione dalla quale si vede il mondo solo da una stretta feritoia. Per il resto, ci schifava, preferiva le puttane nigeriane della statale a noi. Da tenere presente.
E quel curioso modo di indagare l’oggetto, come se esso non fosse affatto scontato, ovvero chiuso all’interpretazione, ma, al contrario, assolutamente aperto a varie possibilità. Certo: è un carburatore, su questo nessun dubbio. Ma non è necessariamente il carburatore che dice di essere. Cioè a dire che l’oggetto in questione si può modificare, adattare, montare su un altro motore, a seconda della necessità.
È una perdita immensa non poterlo più leggere.
NOTA:
– Radio3 fece un bel gesto, secondo me fu un bel gesto, in occasione della morte trasmettendo nuovamente la puntata de Le Meraviglie nella quale Trevisan raccontava di un ex canapificio nel vicentino. È un bel raccontare, un bel Vitaliano Trevisan. La si può riascoltare da qui: https://www.raiplaysound.it/audio/2022/01/Le-meraviglie-del-15012022-db0a7367-e120-4565-8b04-cea1cba27eee.html
Che bel pezzo caro CN e come mi piace sempre leggerla
Grazie