«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
JUST US – Una conversazione americana
Claudia Rankine
Traduzione di Francesco Pacifico
66thand2nd 2022
Sono tre settimane che ho letto questo libro e ogni giorno guardo la copertina, perché apposta l’ho lasciato appoggiato sulla scrivania, che è anche tavolo da pranzo, da colazione, da cena, tavolo di lavoro, tavolo da dove guardare le serie tv, leggere i giornali, tavolo d’appoggio per le piante grasse, tavolo dove i miei giorni trascorrono e scorrono e scivolano via senza bisogno di giustificarsi. Quello che è su quel tavolo è sicuramente importante per me. Un attimo fa la copertina era nascosta da un paio di calzini, ma è un’eccezione, in queste settimane di solito è rimasta coperta da un sottopentola di sughero sul quale appoggio la tazza del tè, i bicchieri di vino, degli alcolici in genere, non è del tutto coperta, è parzialmente coperta perché il sottopentola è rotondo, quindi gli angoli della copertina rimangono sempre scoperti e tanto basta per ricordarmi della sua presenza, anzi renderla impossibile da non notare, è da tre settimane che costantemente ho sotto gli occhi questa copertina, per otto, dieci, dodici, diciotto, venti ore al giorno, è nel mio campo visivo, come le piante grasse, il monitor, le finestre del dirimpettaio dall’altro lato della strada, il riflesso distorto sul vetro della finestra, i pacchetti di fazzoletti, i fazzoletti appallottolati, una radio, una lampada, una seconda lampada, una seconda radio, un’altra cosa troppo difficile da spiegare, i led verdi, i led rossi, i led che confermano che c’è una connessione, un collegamento, un ponte, con il di fuori, e ancora questa copertina che ho messo qui proprio perché non so come venirne a capo.
Il libro parla di razzismo, di quello che subisce e vive ed elabora Claudia Rankine. Fin qui non sarebbe un problema, inteso letterariamente, non moralmente. Quindi il tema è il razzismo visto da chi lo subisce. Va bene, non pretendo di comprenderlo, come molte altre cose che si possono soltanto osservare da una distanza. Poi il libro ha molte fotografie, quasi tutte sono solo decorazioni al testo, un po’ come le immagini che si trovano in un testo online che servono solo a spezzare l’uniformità del testo. Queste mi sembrano per lo più che abbiano la stessa funzione e mi incuriosisce il fatto che siano così tante. Poi ancora il libro ha le pagine di carta patinata che lo rendono pesante e stranamente simile a un’altro genere di pubblicazione, una rivista, un inserto, un periodico, non un libro. La faccenda si complica, parla di razzismo, con le immagini decorative e la carta patinata da periodico, niente di male, non c’è scritto da nessuna parte che si debba parlare di razzismo solo da pagine di carta riciclata che ingiallisce solo con il respiro, però la faccenda inevitabilmente si complica, perché inevitabilmente le scelte fanno sorgere domande. Poi c’è questa alternanza di testo e commento al testo, a destra il testo, a sinistra il commento al testo e le immagini. Solo che sia testo che commento al testo li scrive Claudia Rankine, e quindi la faccenda si complica ulteriormente, chi commenta chi e perché?
Il razzismo, la carta patinata, le immagini, a destra il testo, a sinistra il commento al testo… una conversazione americana recita il sottotitolo, non mi fido, controllo An American Conversation… ok, è letterale, non mi fido degli editori, mai fidarsi degli editori, di nessuno, mai, cordialità sì, fidarsi mai, anche dei traduttori, mai fidarsi, e soprattutto dei titolisti, assolutamente mai fidarsi dei titolisti, qualunque cosa dicono, anche se implorano di credere loro, mai fidarsi dei titolisti, in nessuna circostanza, nemmeno estrema.
Perché una conversazione? Una conversazione tra chi? Con chi? Con me? Claudia Rankine conversa con me? Non mi risulta, anzi lo escludo del tutto, mai avuto una conversazione con Claudia Rankine … forse allora non con me, con altri, con alcuni, quindi alcuni hanno una conversazione con Claudia Rankine, mi sembra strano, forse allora una conversazione da sola, questo può essere visto che già fa il gioco di scrivere testo e commento al testo da sola, quella forse è la conversazione che intende, conversa da sola e noi osserviamo, le immagini, anzi ascoltiamo, origliamo forse sarebbe meglio dire, che il mio straniamento sia dovuto al fatto che ci si trova a origliare? Potrebbe essere una spiegazione, in effetti è probabile che lo sia. A me non piace origilare, non origlio mai, nemmeno quando per evitare di origliare mi devo estraniare quasi completamente dall’ambiente circostante. Origliare mi infastidisce, mi sembra un’intrusione, ma nei miei confronti, non nei confronti degli altri, che altri facciano sapere i fatti loro non me ne importa niente, ma che io venga attirato verso i fatti altrui mi infastidisce, per questo non origlio mai, e Claudia Rankine un po’ mi sembra una che conversa ad alta voce e ti induce a origliare, ma io non origliando mai mi sono estraniato, quindi mi sembra tutto un po’ confuso quello che riguarda questo libro.
E il razzismo, indubbiamente la parte succosa della faccenda?
Il razzismo c’è, c’è sempre stato, c’è tuttora e ci sarà in futuro, c’è incastrato dentro chiunque, anche dentro chi lo subisce c’è incastrato il razzismo, solo che in più lo subisce anche, mentre altri ce l’hanno incastrato e non lo subiscono, come ad esempio io, almeno fintanto che non vado in qualche posto di razzisti verso gli italiani o, come si diceva una volta prima che con grande soddisfazione diventassimo tutti caucasici anzi di razza caucasica, dimenticandosi che è solo per una grande alleanza razzista che siamo tutti felicemente caucasici e non più di razza mediterranea come era un tempo, distinta dalla razza celtica, dalla razza teutonica, dalla razza nordica, dalla razza slava, dalla razza ebraica. Si chiamavano così una volta, gli italiani erano di razza mediterranea. Fino a quando gli americani hanno deciso che si faceva la grande alleanza della razza caucasica contro i neri, gli indigeni, gli asiatici e i sudamericani. È andata così la faccenda, pensavate mica di essere caucasici per diritto divino, vero? Lo siamo per convenienza razzista.
Questa cosa a me è chiarissima, a differenza di cosa dovrei pensare di questo libro.
Un’altra cosa che mi è chiarissima è che io sono un razzista, come lo è chiunque appartenga alla razza caucasica. Le due cose sono sostanzialmente sinonimi, c’è poco da giurare e spergiurare di non esserlo. Sei caucasico? Allora sei razzista, fine del discorso.
Sei asiatico? Allora sei razzista anche tu. Sei latinos? Pure tu razzista. Sei slavo? Razzista. Sei nero? Eh, mi spiace, ma anche se sei nero sei razzista. Sei umano? Sei razzista.
L’unica possibilità teorica di costruire un mondo non razzista è affidarlo alle macchine e sperare che per un colpo di fortuna il risultato non sia razzista. Probabilmente non accadrà, ma alternative non ce ne sono, quindi se sei uno o una che deve per forza sperare, spera nelle macchine.
Pensare a un mondo non razzista è come pensare a un mondo senza crimini. Ti sembra possibile? Certamente no, gli unici che ci credono sono i peggiori aguzzini, despoti, massacratori, bestie che pensano che la loro violenza non costituisca il peggiore dei crimini. Una qualunque persona ragionevole, ma anche una qualunque persona completamente pazza che però non sia scivolata per la china del massacratore di popoli, non ci crede. Chissà perché col razzismo c’è chi pensa che sia diverso dai crimini. Io non ci vedo molte differenze. Chiunque è un criminale potenzialmente, non esserlo dipende solo dalle circostanze. Lo stesso chiunque è un razzista potenzialmente, non vomitarlo in faccia a chiunque dipende solo dalle circostanze.
Voglio sostenere quindi che anche Clauda Rankine lo sia? Certo, a meno che non si scopra che è lo pseudonimo di una macchina. Parlare di razzismo è una faccenda scivolosa, come parlare di crimini, molto scivolosa, è un attimo e si finisce nel moralismo, è un altro attimo e si finisce nell’atteggiarsi, un altro attimo e c’è l’ipocrisia, un attimo ancora e sei a mollo nella messinscena.
Questo vale per tutti, io per primo che sono senza dubbio razzista, e moralista, e ipocrita, e uno che si atteggia e uno che fa della messinscena. Ma vale anche per Claudia Rankine, magari meno che per me, ma come dicono quelli che sanno chiosare bene, qualitativamente non c’è differenza.
Allora come si parla di razzismo? perché è chiaro che con tutti gli scivolamenti che ci stanno, è pur sempre meglio parlarne che non parlarne. Non so. A me le romanzate tipo quello dell’underground railroad non piacciono molto, quello mi sa di uno che le scivolate le ha prese tutte quante insieme. Preferisco allora una conversazione con Claudia Rankine, fastidiosamente patinata nei modi e nei toni, fastidiosa nel tono supponente, fastidiosa nel tono da nera comodamente immersa nella borghesia bianca, fastidiosa nel tono benpensante, fastidiosa nei piagnistei, fastidiosa nei tic da buona società letteraria newyorkese, fastidiosa fino a far venire voglia di ribattere solo per rompere la monotonia, ma nonostante tutti questi fastidi, comunque una conversazione che conferma il fatto che il mondo intero e l’intera storia umana ha le fondamenta nel razzismo e a dire questo subito si sente l’eco della giustificazione, cosa ci posso fare se è così?… che colpa ne ho io se è così?… può un libro dare risposte a domande irrisolte da sempre? può darle una conversazione? può darle una persona che ha il razzismo incastrato dentro? può darle la scienza che ha dimostrato che le razze umane non esistono e che il razzismo è innato perfino nei bambini più piccoli? no, nessuno può dare risposte, possiamo continuare a fare conversazioni fastidiose però, che è meglio delle conversazioni in cui tutti sono d’accordo.
P.S. La tirata finale di Rankine sulla diffusione della biondezza femminile nella società capitalistica dominata dalla superiorità bianca è un po’ confusionaria ma forte però, un po’ più stile blog che stile libro, ma comunque forte e con il pregio di lasciare con lo spirito sollevato dalla certezza che almeno un altro colpevole c’è, a parte l’ovvio maschio bianco: le finte bionde.
Non potrei essere più d’accordo.