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«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa

Pechino pieghevole – Hao Jingfang

PECHINO PIEGHEVOLE
Hao Jingfang
Traduzione di Silvia Pozzi
add 2020

Chiunque trovi una libreria che abbia questo libro e lo esponga negli scaffali della letteratura, al massimo letteratura straniera però non letteratura di genere (nel seguito si capirà il motivo di questa precisazione), e mi manda la foto, io la aggiungo a questo commento perché quella libreria merita un premio, un riconoscimento, un ringraziamento, e io questo è il massimo che posso fare, altro non posso, però questo posso farlo. Hao Jingfang ci ha vinto il Premio Hugo, che per quanto io sia irremovibile nel disdegno per i premi letterari come basse pratiche commerciali, tranne quando danno il Nobel a Peter Handke, chiaramente, però il Premio Hugo è l’eccezione e dico che bravi che hanno dato il Premio Hugo a Hao.

Si è capito che mi è piaciuto?

Cavolo se mi è piaciuto, ne leggerei altri dieci di seguito così, binge reading, trance, tunnel psicosensoriale, datemi altri dieci Pechino pieghevole e ci risentiamo all’uscita.

Adesso racconto com’è andata la faccenda degli scaffali della libreria.

Qualche settimana fa passavo dalla nota piazza con il duomo gotico, i turisti e i borseggiatori e ricordo di aver pensato che era un secolo che non scendevo nella nota libreria di catena di cui fa snob parlare male e io infatti ne parlo sempre male che sta proprio in quella piazza. Dico scendevo perché si scende, stando in pratica nelle cantine dell’edificio che affaccia sulla nota piazza. Scendo entro, mi guardo in giro, penso che non è cambiato niente, guardo il primo espositore appena entrato sapendo già che avrei trovato molti libri di cui pensare molto male e infatti così è stato, ci sono certezze nella vita, una è questa. Poi ho fatto il classico giro in senso antiorario, io giro sempre in senso antiorario, devo avere il gene dello spin antiorario perchê vado sempre in quel verso e ogni volta mi dico Ma guarda, sto andando in senso antiorario, per cui scorro gli autori in ordine alfabetico inverso, che nelle librerie della nota catena, come tutti sanno, da tempo immemore hanno scelto l’ordine alfabetico dei libri e anche il senso orario, scelta quanto mai contestabile e contestata da alcuni, ma tutto sommato ragionevole in un’ottica mercantile. Li scorro soprattutto per vezzo, nel senso che noto le mancanze più delle presenze, ad esempio avevo in mente un titolo di Faulkner, arrivo a Faulkner e con soddisfazione vedo che manca e penso Figurati se tengono vecchi titoli di Faulkner. Così passeggiando scorro tutto il lunghissimo scaffale della letteratura arrivando verso il fondo di quell’ala della libreria, dove finisce la letteratura e iniziano generi editoriali surreali come i libri di self-help mescolati a opere di guru della finanza speculativa, titoli su come diventare miliardari con i bitcoin, un posto surreale, cambia perfino l’aria che si respira, come quando si entra in quei negozi di dolciumi industriali che ti aggredisce quell’odore di zucchero sintetico stomachevole. Anche là in fondo, oltre la letteratura… OLTRE LA LETTERATURA senti come suona bene, devo usarlo più spesso… OLTRE LA LETTERATURA ‘mazza bello oh… comunque là senti aria sintetica. Più sintetica. Però non mi dispiace, tutto sommato, ci passeggio volentieri, ma per poco, tipo turista. Quindi arrivato ai bitcoin e il self-help svolto a sinistra dietro l’ennesimo espositore verticale con qualche ultima novità di qualcosa, e torno indietro. Da quel lato ci sono meno libri, è anche meno illuminato, quello è il purgatorio della libreria, ha merce che evidentemente conserva una sua clientela ma non proprio di prima qualità, diciamo, non il tipo di clienti che vanno accolti appena entrati con una bella luce calda, l’espositore comodo e tutto pronto e servito. Quella è la zona da adolescenti o da nerd, in entrambi i casi indipendentemente dall’età anagrafica, dove si trova roba dozzinale fantasy, mi pare dei videogiochi o qualcosa del genere, forse anche roba horror o metal, roba da sfigati assoluti. Zona sfigati potrebbero mettere nelle indicazioni all’ingresso, se non fossero così terribilmente politically correct. Invece non mettono niente. È una Zona non si sa. E lì, tra gli sfigati, ecco che compare uno scaffalino misero con scritto Fantascienza… mi pare di ricordare ma forse era Sci-Fi o addirittura Science Fiction da supersfigati…  naturalmente pieno di solita robaccia dozzinale da sfigati e qualche capolavoro della letteratura mondiale nascosto tra la schifezza. Guardo e in effetti trovo quello che mi interessava, l’edizione Mondadori del Neuromante, mi serviva verificare se fosse la stessa di Edizioni Nord (sì, lo è). Già che sono lì guardo cosa c’è di Lem, per dire i capolavori nello scaffalino degli sfigati (poco o niente, ma almeno Solaris c’era, almeno quello). Ed è stato in quel momento che l’ho visto, Pechino pieghevole. Evidentemente non faceva parte della zozzeria dozzinale, ma nemmeno era un grande classico e in più era cinese, il che in questo periodo per me è indizio di cosa interessante. Lo prendo, lo sfoglio, vedo che Hao Jingfang è una lei, vive a Pechino, ha vinto il Premio Hugo (che bravi ad averglielo dato!) e sono racconti, in più è anche una bella edizione quella fatta da add, non una cosa dozzinale ma un libro serio che la famosa libreria di cui tutti per snobberia parlano male che sta nelle cantine della famosa piazza con il duomo gotico ha mandato nel gulag degli sfigati insieme a capolavori stratosferici della letteratura mondiale di ogni tempo e latitudine come il Neuromante e Solaris.

Così è finita che sono tornato a casa molto soddisfatto con Pechino pieghevole e pure un altro recuperato dal gulag degli sfigati.

Ora due cose sui racconti, ma solo due perché, non so, sento ancora quel sapore buonissimo che mi hanno lasciato e mi viene da sorridere. Sono di fantascienza-fantascienza? Sì-no, lo sono ma nel modo che intende Hao Jingfeng, certo ha inventato futuri e mondi alternativi, qualche volta si incontrano pure astronavi e pianeti, perfino robot giganti, e questi innegabilmente sono tratti caratteristici della fantascienza, non c’è dubbio, e la ragione per il gulag degli sfigati.

Però c’è anche altro, come c’è sempre nei libri belli, c’è una storia e poi c’è anche altro, ci sono dei personaggi e ce ne sono anche altri, ci sono immagini che ne fanno uscire anche altre, parole e altre parole. Qui ci sono mondi fantastici e anche altro. Racconti ma anche altri racconti tra i quali Hao  Jingfang si muove con la leggerezza di un’ètoile che danzando riesce a trasformarsi per interpretare parti divertenti e tragiche, dolci e meditative, storie fantasmagoriche di una città che si piega, letteralmente si piega, perché ci sono i ricchi e i poveri che non hanno mai gli stessi diritti, storie spaziali di una colonia planetaria sulla quale si sognava un futuro felice che non si sarebbe avverato, dei robot giganti, come piaceva molto tempo fa, e in uno di questi in pancia c’è la casa di una bambina, fino a un racconto strano, a cui credo Hao Jingfang tenesse in modo particolare, un racconto tragico, scritto con una delicatezza di tratto commovente, un pennellino fine che soltanto sfiora la carta su cui lascia il segno sottile e indispensabile.

Bello.

PS:
Domanda: Somiglia alla (bellissima) trilogia di Cixin Liu, celebre autore della moderna fantascienza cinese?
Risposta: No, molto diverso, più narrativo, qui la fantascienza è solo un pretesto letterario, Cixin Liu invece più fedele al canone sci-fi.

Quindi, appassionati sci-fi hardcore che avete tutta la mia simpatia e comprensione per essere un po’ incazzati per il gulag e altre cose, siete avvertiti, Hao Jingfang non è sci-fi hardcore né è Cixin Liu.

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Questa voce è stata pubblicata il 27 febbraio 2023 da in add, Autori, Editori, Jingfang, Hao con tag , , , .

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