«Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.» –Tomasi di Lampedusa
ANIKO
Anna Nerkagi
Traduzione di Nadia Cicognini
Utopia 2022
C’è ancora posto oggi per le fiabe? È una domanda seria, piuttosto che rispondere di getto con uno sdolcinato Siiiiiiiì… o grugnire un Ma figuriamoci… per me è meglio non rispondere, aggiungere rumore al rumore abitua soltanto al rumore e la conseguenza è che non si presta più attenzione alle voci, anche quelle che raccontano le fiabe.
Se c’è una cosa che io ho sempre desiderato e continuo a desiderare per questo piccolo contenitore è di farne un luogo prima di tutto di silenzio. Non di dialogo, di scambio, di polemica, di informazione o quant’altro possa venire in mente, ma di silenzio. È nel silenzio che io leggo, penso, parlo, sempre e solo nel silenzio e le parole, per me, per essere parole, devono produrre un’eco nel vuoto. E le fiabe, per essere fiabe, si ascoltano in silenzio, lasciando tutto lo spazio possibile alla voce delle parole e alla lucina che la fiaba accende nel buio.
Il resto è show business e accademia, il pubblico, i lettori, le informazioni, sono show business e accademia, i dibattiti, le opinioni, le lezioni, show business e accademia.
Aniko è una fiaba e anche se non troverete scritto che lo è, lo è ugualmente perché ha ogni caratteristica della fiaba. Si ascolta in silenzio la voce narrante avendo ricavato lo spazio più ampio possibile intorno per far rimbalzare le parole sulle pareti, si rimane immobili e silenziosi ad ascoltare, non c’è nulla da dire, nessun motivo per interloquire, appuntare, commentare, la fiaba crea da sola il proprio palcoscenico, ci costruisce sopra un intero teatro e lo riempie di silenzio profumato, silenzio dolce, silenzio tiepido anche se trasporta chi ascolta tra i ghiacci, non dobbiamo fare nulla se non ascoltare, solo quello, non è difficile, e invece è difficile, non dobbiamo per forza cercare una spiegazione, e invece la cerchiamo, non serve dividere il bene dal male, e invece li dividiamo, non è necessario portarcela a casa, la fiaba può rimanere tra i suoi ghiacci, e invece ce la portiamo a casa.
C’è ancora spazio per le fiabe, al di là dell’emozione che scaturisce da una piccola storia, una piccola fiaba senza lieto fine come Aniko?
Aniko è una fiaba lontanissima e antichissima pur non essendo né lontana né antica, è una voce aliena pur suonando familiare, è un mondo sconosciuto pur ricordandoci per tanti motivi il nostro.
È questa la natura di una fiaba odierna?
A me questa fiaba – come la definisci e credo a ragione – è piaciuta molto. Mi ha portata in un mondo lontano dal mio, mi ha commossa, e mi ha insegnato qualcosa. E’ quello che fanno le fiabe, no?
Se capisco cosa intendi, un insegnare antico e leggero che si deposita sull’epidermide con le parole. Sì ti lascia qualcosa quella fiaba, non so bene cosa sia, però prima non c’era.
proprio questo intendevo